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04 Giugno, 2023

Abbandoni, culle e tutela dei neonati

La culla termica, versione moderna e tecnologicamente avanzata dell'antica Ruota degli Esposti, tutela madre e figlio?
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In meno di due mesi sono quattro le vicende dolorose di donne e di neonati, di cui purtroppo siamo venuti a conoscenza. Storie che, invece, dovrebbero essere private e tutelate nel rispetto di chi è coinvolto. L’esistenza delle culle termiche per molti è stata una novità, di cui si è saputo proprio attraverso queste vicissitudini. In Italia sono circa una sessantina presenti per lo più nelle grandi città. Pensate per tutelare il neonato, offrendo un posto sicuro dove lasciarlo, di contro non lo tutelano un domani, se nel suo futuro vorrà ricostruire le sue origini, perché della mamma scompare ogni traccia. Tale punto di vista ci viene proposto in questo articolo, che apre in merito un interessante dibattito.

Pensieri eretici sulla culla termica

La culla termica induce immediatamente, nella maggioranza delle persone, uno spontaneo giudizio estremamente positivo, unito a un sentimento di gioia e di consolazione per l’immediata associazione alla salvezza di una vita umana.

Tale reazione è spontanea e sta ad indicare la grande importanza data, giustamente, alla vita come valore fondamentale che va difeso su tutto. Non possiamo dunque che approvarne le ragioni etiche che la promuovono, almeno in una prima fase dove non è stata sottoposta al vaglio critico dell’analisi, attraverso una più approfondita riflessione.

In tale prima valutazione, infatti, è presente un cosiddetto bias cognitivo.  In una breve definizione ricorderò che un bias cognitivo altro non è se non una rapida scorciatoia utilizzata correntemente dal nostro cervello. Le scorciatoie sono per la maggior parte corrette e ci consentono di interpretare la realtà in maniera rapida ed efficiente. Ma in alcuni casi, però, i bias ci conducono a errori di valutazione. Quando un processo euristico porta ad un’imprecisione o a un errore di valutazione ci troviamo di fronte a un bias cognitivo.

In questo caso si tratta di un bias detto stereotyping, perché fa parte di quelli che giacciono nel subconscio degli individui, di cui non hanno alcun controllo o consapevolezza e determina un’adesione incondizionata sotto la spinta emotiva.

Proviamo quindi a valutare le pur presenti implicazioni negative e non trascurabili legate all’istituzione di culle termiche.

Cenni storici

Innanzitutto la storia ci viene in aiuto ricordandoci come un sistema analogo e primordiale, quale la Rota degli Esposti venne abbandonato definitivamente nel 1923 in quanto considerato un incentivo all’abbandono dei neonati. Infatti si verificò come il numero dei bambini immessi nello spazio di accoglimento di questo meccanismo aumentava progressivamente con il passare del tempo, e non in aperto contrasto con gli infanticidi, che purtroppo sono sempre esistiti, e rappresentano azioni compiute sotto la spinta di impulsi francamente cinici e aggressivi, ma alla decisione alternativa, sia pure faticosa, di crescere e allevare il proprio figlio.

Se la Rota avesse, di fatto, diminuito il numero di infanticidi, non sarebbe stata abolita.

Si desiderava, invece, diminuire il numero degli abbandoni che si erano incrementati in modo esponenziale nella seconda metà dell’800.  Abbiamo notizie di un ospizio per bambini già nel 787 a Milano, grazie all’arciprete Dateo,  anche se è solo dal 1200 che in Italia si moltiplicano simili istituti. La prima città in Italia a chiudere la ruota fu Ferrara nel 1867 seguita a mano a mano da altre città in tutto il corso dell’Ottocento sino, appunto,  alla completa abolizione  del 1923.   

Non una soluzione per situazioni di criticità

Inoltre, per alcuni esperti del settore delle adozioni e salute delle donne, la moderna culla termica non è che una panacea. Le donne resterebbero comunque nel sistema che le ha portate a una gravidanza non voluta: che siano casi di violenza domestica, di dipendenza, di problemi economici, con il rischio concreto del ripetersi dell’evento.

Il termine culla

Interessante poi chiederci quanto il termine “culla” ci condizioni, attribuendo ad esso una connotazione dolce che in effetti non ha. Nel Vocabolario Treccani alla voce culla leggiamo.: s. f. [lat. tardo cūnŭla, dim. di cūna «culla»; nel sign. 3, deverbale di cullare]. – 1. Lettino per bambini neonati e lattanti, generalmente costruito in modo da poter oscillare, e fornito di cortine o altri mezzi per la difesa contro la luce e gli insetti molesti: L’una vegghiava a studio de la culla (Dante); Presso la c. in dolce atto d’amore (Giusti).

Ma, a questa, che una volontà gentile ha voluto definire appunto “culla”, si addice forse più il termine “cassetta” oppure “deposito” che, inevitabilmente ci riporta al “bagaglio. A un occhio disincantato, cosa appare l’atto di lasciare un neonato in una culla termica se non il deposito di un bagaglio indesiderato?


Un parto potenzialmente rischioso
Un altro importante fattore di cui tenere conto prima di pensare tout court a una promozione implicita della culla termica è che il suo utilizzo consegue a un parto non assistito e quindi avvenuto in condizioni di pericolo per la madre e il bambino. Si va quindi, in nome di una messa in sicurezza, a riconoscere implicitamente la fattibilità di eventi altamente rischiosi  per la donna e per lo stesso figlio. Come mai viene considerata solo la conclusione del processo senza tener conto di ciò che inevitabilmente l’ha preceduta?

Il parto in anonimato in ospedale
La maternità è considerata nel nostro Paese, a differenza di altri quali ad esempio la Germania (interessante conoscere le leggi applicate in merito), come un evento assolutamente volontaristico. Ciò significa che è essa è soggetta alla completa determinazione della donna incinta, che può scegliere di partorire in anonimato e non riconoscere il figlio, cancellando, di fatto, l’avvenuto parto dalla propria vita. Peccato che in questo caso i protagonisti siano due: la madre e il figlio, e la scelta della prima di non voler essere tale priva, di fatto, il figlio, del suo status di figlio. Pur non avendolo mai richiesto.


Anche qui si può trovare un bias, e precisamente un “confirmation bias”, un errore di conferma che  descrive la tendenza delle persone ad accogliere e identificare come rilevanti quelle informazioni che coincidono con le proprie convinzioni che in questo caso, proprio in virtù del pre-giudizio del valore assoluto da dare alla scelta materna, rende invisibile i diritti dell’altra parte  e anche il diritto  della donna che ha partorito a un eventuale ripensamento in termini non di legale riconoscimento ( che, giustamente, non sarà più possibile), ma, almeno di informazioni circa il destino di un figlio abbandonato.

La maternità, come ha ricordato la Corte Costituzionale nel 2013 (Sentenza n. 278), arginando in parte il peso assoluto della legislazione precedente, resta comunque un fatto fisiologico e naturale che, per quanto voglia essere disconosciuto, è qualcosa di realmente accaduto che ha definito, per sempre, la relazione biologica tra due persone.  La culla termica, di fatto, aiuta la donna a evadere qualsiasi tipo di responsabilità, ma anche ad annullare tale realtà, impedendo che essa possa venire storicizzata.
Per non dire dell’assoluta indifferenza rispetto alle ormai accreditate teorie scientifiche sull’attaccamento infantile precoce, come imprinting che segnerà tutta la vita di un individuo, secondo studiosi quali Bowlby, Spitz, e il contemporaneo beneamato Giovanni Liotti.

Quindi, mentre l’obiettivo a cui il welfare dovrebbe mirare è contribuire a una forte responsabilizzazione della donna, accompagnata da aiuti concreti, affinché possa tenere con sé il proprio figlio e crescerlo, nell’odierna cultura e sensibilità il male minore sembra essere proprio il parto in anonimato, fatto in ospedale con il rilascio delle proprie generalità in busta secretata per diciotto anni, cioè fino alla maggiore età del nato. E, dove ciò fosse possibile, la donna dovrebbe riconoscere giuridicamente il figlio e, contestualmente, affidarlo alle Istituzioni, perché   il bambino possa diventare figlio a tutti gli effetti di una famiglia adottiva, ma senza che il segreto copra parte della sua vita rendendola illeggibile a lui stesso e a chi, in qualità di madre e padre ha il diritto-dovere di conoscere tutto ciò che lo riguarda.

Non avremo, per caso, scelto la via più breve per metterci a posto la coscienza?

Emilia Rosati

Vicepresidente del Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini

Modalità dell’abbandono e caratteristiche degli esposti a Napoli nel Seicento. Giovanna Da Molin, in Enfance abandonnée et société en Europe, XIVe-XXe siècle, Publications de l’École Française de Rome, 1991.
Forme di assistenza in Italia dal XV al XX secolo. Giovanna da Molin (a cura di), Forum, Udine, 2002.
Storie di abbandoni. I processi per esposizione d’infante a Firenze dal 1870 al 1900. Francesca Rampinelli, Le Lettere, Firenze 2000.
Dare l’anima. Storia di un infanticidio. Adriano Prosperi, Einaudi, Torino, 2005.
I peccati che vagiscono. Bambini abbandonati, ruotari e balie nella Calabria dell’Ottocento. Francesco Caravetta. Le Nuvole, Cosenza 2009.

Umberto Rubbi, Cesare Zucchini, L’Ospizio Esposti e l’Asilo di Maternità, in Sette secoli di vita ospitaliera in Bologna, Bologna – Cappelli Editore, 1960 



1 commento

  1. Simona

    Probabilmente si, ma è meglio di un cassonetto e non preclude il parto in ospedale. Forse va spiegata meglio, va detto che il neonato non saprà mai chi sono i genitori diversamente dall’abbandono in ospedale etc…
    Poi siamo in Italia, ora fa notizia tra un mese tutto si sono dimenticati.

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