
Ci sono figli adottivi che cercano le proprie origini biologiche e altri che non ne sentono il bisogno. Ci sono genitori di nascita che cercano i figli e altri che non vogliono essere rintracciati. Ci sono fratelli e sorelle che cercano, così come i figli di persone adottate, addirittura i nipoti, che desiderano sapere delle loro origini.
Al di là della legge dei cent’anni e di eventuali riforme, in Italia manca un servizio di accompagnamento che tuteli sia i figli adottati sia i genitori di nascita. Chi oggi accede alle informazioni identificative sui genitori di nascita, sui fratelli, etc. è poi del tutto solo a gestire il contatto.
Il diritto alle origini biologiche, da parte dei figli adottivi è stato definitivamente sancito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, con la Sentenza 1946/2017, scavalcando l’immobilità del Parlamento che non ha licenziato la legge di modifica della 184/83, benché richiesta dalla stessa Corte Costituzionale già dal 2013.
Grazie alla citata Sentenza della Cassazione si può accedere a una procedura, riservatissima, che consente agli adottati adulti di conoscere l’identità dei propri genitori biologici, nell’ambito del diritto alla conoscenza delle proprie origini, alla costruzione della propria identità e del diritto alla salute.
Resta salvaguardato, però, il diritto della donna che non abbia riconosciuto il figlio alla nascita di negare il consenso alla revoca dell’anonimato, quando interpellata da parte del Tribunale per i minorenni, che rimane l’unico abilitato a contattare la madre nella massima riservatezza e verificare la sua decisione di mantenere o meno il segreto.
Si evidenzia dunque il massimo rispetto per la madre, anche se, attualmente, non è previsto che possa presentare analoga istanza di accesso ai dati del figlio, in quanto l’unico titolare del diritto alla conoscenza resta, appunto, il figlio, che di fatto ne è stato privato.
Tale procedura ha fatto venire meno molti dubbi ancora presenti sulle garanzie offerte alle donne che dall’atto integrale di nascita risultano come “donna che non consente di essere nominata”, anche se, per quanto dura e dolorosa sia questa dicitura, le esperienze fatte fino ad oggi ci insegnano che le madri, e in particolare quelle dei nati fino agli anni “80, spesso non avevano chiara cognizione della portata del mancato riconoscimento, che si verificava più a seguito di prassi consolidate nel caso che il figlio non potesse essere tenuto, che come una effettiva scelta volta a mantenere un anonimato a vita .
La via maestra costituita dal ricorso che ciascun figlio può fare al Tribunale per i minorenni del suo luogo di residenza, (sebbene ancora legata alle lacune e alle lentezze riguardanti un procedimento che rappresenta una novità per gli uffici giudiziari e per gli addetti alle indagini), purtroppo viene a incrociarsi con altre strade, fatte di tentativi personali attraverso i media.
Il fenomeno è legato a diverse motivazioni, tra cui la non diffusa conoscenza della possibilità di avanzare l’istanza al Tm, la sfiducia verso le istituzioni, e, non ultimo, il desiderio di accorciare i tempi.
La ricerca personale però, pur essendo dettata da comprensibili e umane esigenze, comporta due aspetti critici: da un lato costringe la persona ad un’esposizione mediatica non sempre opportuna attraverso appelli contenenti informazioni che potrebbero violare quella riservatezza che è stata posta, opportunamente, quale condizione indispensabile del procedimento svolto per via legale; dall’altro sembrerebbe non sancire con la dovuta rilevanza la possibilità concreta offerta dalle Sentenze e, soprattutto, l’urgenza della modifica della legge 184/83, che il Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche persegue ormai da un decennio e si avvia a riproporre ad una terza legislatura.
In pratica un diritto già acquisito dai figli adottivi non riconosciuti alla nascita, e che si appresta a diventare oggetto di una normativa dello Stato italiano, continua a essere espresso sotto forma di richiesta individuale, il cui buon esito resta legato alla disponibilità di chi la raccoglie e alle circostanze fortuite nelle quali viene a inserirsi. E questo a scapito della dignità, attribuita dalla Corti, alla fondamentale esigenza esistenziale di ricostruire la propria identità.
Pertanto auspichiamo che, già da un prossimo futuro, i figli adottivi alla ricerca delle proprie origini, scelgano di intraprendere il procedimento previsto dal Tribunale per i minorenni, con animo sereno, e, se giovani, con l’amorevole accompagnamento della propria famiglia adottiva.
Nella certezza che la modifica della legge attuale nel senso indicato dalla Magistratura perfezionerà e omologherà, a livello nazionale, l’iter seguito da ciascun Tribunale rispetto alle indagini, all’eventuale interpello e alle attestazioni conclusive della procedura, auspichiamo di avere al nostro fianco le Associazioni dei genitori adottivi, per garantire una rapida approvazione della Legge, che costituirà la tutela definitiva per chi, ancora, dovesse sentirsi incerto rispetto alla presentazione di un regolare ricorso.
Emilia Rosati
Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche
Della stessa autrice: Lettera alla luce e Fecondazione eterologa: “Che fine farà l’adozione?”
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