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06 Aprile, 2021

Adolescenza e diversa etnia

Nelle famiglie adottive l’adolescenza è un periodo temuto. In realtà è una tappa necessaria per tutti i giovani. Molte volte gli errori fanno parte della costruzione personale di ciascuno di noi.
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Adolescenza e diversità

L’adolescenza: una tappa dei propri figli, biologici o adottivi, temibile e terribile per la maggior parte dei genitori. Ma una tappa necessaria per la crescita dei figli. Non una malattia, non una fase da dimenticare, ma la strettoia, assolutamente imprescindibile per diventare grandi, cioè adulti.

Per parlare di adolescenza non posso che tornare con tenerezza e simpatia alla me stessa adolescente. Tenerezza verso quella peculiare sensazione di tutti gli adolescenti del mondo, di sentirsi sbagliati, sempre, nel posto e nel momento sbagliato. Infarcita dalla sensazione (che poi era realtà!) di essere diversa e di doversi adattare alla massa per non esserlo. Ma la mia diversità, nel caso di figlia adottiva indiana, non era risolvibile, rimaneva lì, quando mi guardavo allo specchio: il colore della pelle. Bergamo non è una cittadina così calorosa ed accogliente nei confronti del diverso. Ma il mio scrivere non vuole soffermarsi su questa questione ora. Bensì andare oltre, cioè documentare con l’esperienza, che quando si è amati, la diversità non è mai obiezione, ma anzi trampolino di lancio.

Che cosa significa per un adolescente adottato essere di differente etnia.

Mi ricordo certamente di atteggiamenti sprezzanti e negativi subiti proprio per il mio essere colorata. Mi ricordo con altrettanto orgoglio chi mi ha difeso, chi di fronte alla discriminazione si è posto coraggiosamente e ha risposto con l’amore. Mi ricordo che chi mi amava non mi vedeva colorata. Sono stata molto fortunata: in un periodo così difficile e burrascoso, di crescita della mia identità e consapevolezza, di crescita e maturazione del mio corpo, di crescita e maturazione della mia anima, ho avuto tanti amici. Amici adulti e amici coetanei. Gli amici adulti non sono stati solo amici, bensì delle guide, delle persone capaci di valorizzare ciò che di bene c’era in me, sempre, e di sfidarmi nella ricerca del bene, buono e bello che vivevo. Adulti capaci e felici di essere adulti, vogliosi di educare, di stare nell’amicizia, in rapporto con me, senza paura della mia fragilità e della mia testardaggine.

Che cosa cercano gli adolescenti negli adulti.

Educare, cioè cercare di tirar fuori da me il meglio, il mio meglio, non nei voti, perché io non ero il voto che prendevo, mai! E guai quando mi sentivo guardata così dai miei, mi veniva da fare peggio. Il meglio del cuore. Adulti che mi sfidavano a desiderare, cioè a ricercare le stelle, a ricercare la bellezza nascosta nella quotidianità e nelle materie da studiare. Ricordo con affetto alcuni professori che sono stati capaci di farmi amare le loro materie, proprio perché loro stessi per primi le amavano. Ed erano capaci di attirarmi e coinvolgermi. Ricordo anche alcuni amici adulti, amici dei miei genitori. Adulti capaci di ascolto e di stima nei miei confronti (ce la puoi fare, metticela tutta) e rispetto e stima assoluti verso mio padre e mia madre. E poi ricordo con affetto e gratitudine alcuni amici coetanei (più amiche che amici per la verità), con le quali ho condiviso gioie, dolori, amori, pianti, risate, e anche qualche “cavolata” dell’età. Si dice il peccato ma non il peccatore ed in questo caso i peccati me li tengo per me, perché ognuno in adolescenza ha combinato le sue stupidate e ha fatto i suoi errori. Passi a volte troppo lunghi per la propria gamba, ma necessari per capire che si stava sbagliando. E che dagli errori sempre è possibile imparare. Se lo si vuole e se si è circondati comunque da adulti sani che aiutano a guardarli, gli errori, senza paura ma con fermezza.

Il problema di oggi, secondo me, è che mancano questi adulti intorno. I ragazzi sono soli. Se la devono costruire da soli la vita. E spesso non c’è nessuno che li ascolti e li guidi. Provo simpatia verso la me adolescente, simpatia umana. Ero un fiume in piena di emozioni contrastanti dentro e fuori di me. Amavo tanto, troppo. Soffrivo tanto, troppo, cercavo di essere felice, sempre. Oggi da adulta mi accorgo che mi accontento di più.

Il desiderio di essere amata nella mia unicità.

Forse l’adolescenza per la domanda di senso che si ha addosso, è il punto di massima verità e tensione dell’essere umano. Ecco perché si è anche così fragili ed esposti. Ed ecco perché si è così bisognosi di amore.

Quanto mi sono innamorata in quel periodo. E devo dire che proprio l’essere ricambiata, in alcuni casi ha cresciuto in me l’autostima. Poco alla volta ho iniziato a guardarmi accettandomi di più. Sentirmi amata da alcuni ragazzi e sentirmi voluta bene dalle mie amiche mi ha permesso di non vedermi più così sbagliata, diversa.

Ho iniziato a guardare alla mia diversità come alla mia unicità. Perché quando mi sentivo amata mi dicevo: “Ma pensa, anche io, colorata quale sono, sono amata, ci sono delle persone che mi vogliono bene e vogliono me. Proprio me”.

I miei genitori hanno mollato le redini, cioè mi hanno lasciata andare, che non vuol dire abbandonata a me stessa, ma si sono fidati di me. Oggi dico che la loro fiducia è stata ben riposta, anche laddove ho commesso degli errori, perché per diventare grandi gli errori sono necessari, per definire i confini, i limiti. Gli errori, gli inciampi, gli scivoloni che ho fatto in adolescenza, sono stati parte del metodo educativo dei miei, non fuori. Cioè per imparare a crescere, ad amare me stessa, ad amare gli altri, la scuola e lo studio, gli errori sono stati necessari. Perché non c’è cosa più bella al mondo, di quando si sbaglia, dell’essere perdonati. Non c’è metodo educativo migliore. “Hai fatto una cavolata, ma ti perdono. Tu Sangeetha sei un bene per me, sempre, sei un dono. Ti perdono, il tuo sbaglio non è la fine del mondo, tu non sei il tuo errore ma molto di più. Ricominciamo insieme”. E a pensarci bene quante volte questo perdono me lo sono sentita addosso. Ed esso mi ha permesso di ricominciare, chiedendo scusa e pagandone le dovute conseguenze.

La diversità fisica e le mie origini indiane.

Ad oggi posso anche dire che in me in quel momento della vita, vi era una grande domanda sulla mia diversità fisica, ma alla questione dell’origine, della mia mamma indiana, non ci pensavo minimamente.

La ferita dell’abbandono era latente, forse inconsciamente veniva a galla nel timore di perdere le mie amicizie. Comunque riguardo indietro a questo pezzetto della mia vita con grande gratitudine. Ha contribuito anch’esso alla maturazione della donna che sono oggi. Ed era necessario passarvi attraverso per diventare più io, per maturare, diventare adulta.

I miei genitori si sono lasciati mettere in discussione ed hanno avuto tutto il tempo per correggersi,  per capirsi come genitori, per imparare di nuovo ad esserlo per i loro figli adolescenti, anche perché ero la prima di quattro (io e l’ultimo fratello abbiamo 7 anni di differenza). Mettersi in discussione che vuol dire anche cambiare posizione, cambiare sguardo, prospettiva su di loro e soprattutto su di noi, i loro figli. Certo non hanno mai avuto paura di esserci e anche di sbagliare. Il metodo educativo del perdono lo hanno vissuto anche loro, perché mi sa che esso valga proprio per tutti. E anzi, c’è un’altra cosa bella nel mondo di oggi da vedere: adulti capaci di perdono verso se stessi anzitutto (quindi capaci di accettare limiti, sbagli, fragilità proprie) e verso gli altri. Per ricominciare sempre, insieme a qualcuno che ci ama, il cammino della vita, a qualsiasi età.

Sangeetha Bonaiti

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