
La nostra storia e il diritto ad essere informati
Durante uno dei tanti incontri in Tribunale per la richiesta dell’idoneità ad adottare, ricordo che venimmo a conoscenza del fatto che era possibile adottare bambini con gravi disabilità, ma io, appena fuori di lì, tirai un sospiro profondo e dissi: «Come si può, quanto coraggio bisogna avere… io non avrei né la forza né il coraggio».
Ironia della sorte, arrivò Giada.
È così che comincia la storia della nostra esperienza di genitori adottivi. Una mattina d’estate fummo sorpresi da una convocazione in Tribunale durante la quale ci fu affidata una piccola di appena 40 giorni, con relativa certificazione medica che ne attestava il buono stato di salute.
Una diagnosi inaspettata
Dopo un paio di mesi, però, non riuscivamo ancora ad incrociare lo sguardo di nostra figlia. Comunicammo la cosa alla sua tutrice (sapete che per l’anno di pre-affido il minore è seguito da un tutore nominato dal Tribunale) e programmammo controlli più mirati.
Dalla valutazione neurologica ne conseguì una diagnosi gravissima. Oltre ad una importante lesione neurologica, con tutte le conseguenze del caso (tetraparesi spastica, agenesia del corpo calloso), nostra figlia era affetta da cecità totale.
L’immensa gioia divenne disperazione, paura, angoscia. Nessuno corse in nostro aiuto, nessuno ci sostenne, nessuno si preoccupò del nostro stato emotivo.
Dov’erano i servizi sociali che si preoccupano così tanto in sede di colloqui? Ti pongono una miriade di interrogativi atti a testare le capacità di una coppia ad affrontare “eventuali” problematiche e poi quando queste vengono fuori, loro spariscono.
La nostra vita in una realtà non preventivata
Nonostante l’inizio così articolato, oggi viviamo un’avventura unica. Nostra figlia, con le sue gravi difficoltà psicofisiche è riuscita a regalarci la possibilità di vivere una nuova vita. Certo, il fatto di essere stati catapultati in una realtà che mai avremmo pensato di conoscere ha richiesto un impiego di energie mentali e fisiche senza sconti, ma fortunatamente l’amore per nostra figlia ci ha permesso di resistere oltre.
La nota dolente sta nel fatto che a volte i bambini, parlo soprattutto dei neonati non riconosciuti, entrano nel circuito dell’adozione senza sottoporli a controlli accurati. A noi è successo così. Mi dispiacerebbe pensare che tale negligenza possa essere dovuta alla mancanza di un genitore a cui dover dare spiegazioni e informazioni. La mancanza di indagini approfondite può in alcuni casi mettere a rischio l’incolumità dei bimbi e delle famiglie ignare di ogni informazione, di ogni preparazione e dell’accompagnamento rispetto a cosa succederà. Nel nostro caso la patologia di nostra figlia è neurologica e molto grave e non aver avuto alcuna notizia sul suo trascorso prenatale ha reso ancor più impegnativo il nostro percorso.
L’importanza dei dati sanitari della madre biologica per una corretta anamnesi
Non so se in questi 20 anni (questa è l’età di nostra figlia) qualcosa è cambiato riguardo all’accesso ai dati riguardanti le madri biologiche, ma per noi, non avere avuto alcun riferimento ha reso tutto più difficile, in primis fare una giusta anamnesi.
Per entrare in possesso della documentazione clinica della madre biologica (nel pieno rispetto della privacy della partoriente e quindi con relativi dati personali abrasi) siamo dovuti ricorrere all’intervento del Presidente del Tribunale e in sede giudiziale abbiamo quasi dovuto giustificare il fatto di essere in possesso di tale documentazione. È stato complicato capire se si trattava di un problema genetico, se era successo qualcosa durante la gestazione o se la madre biologica aveva subito traumi ecc. Tutte notizie che avrebbero certamente contribuito al raggiungimento di una diagnosi più veloce. Di fatto, dalle ecografie fatte alla partoriente, era ben visibile l’enorme lesione neurologica e, se solo si fosse data la giusta attenzione a quelle ecografie, avrebbero potuto evitarci inutili traumi.
Credo che da un punto di vista legislativo si debba rivedere l’obbligo, per l’equipe medica che prende in carico gestanti che esprimono la volontà di non riconoscere il nascituro, di effettuare controlli accurati sia alle partorienti sia al nascituro al fine di poter disporre di dati certi nel caso in cui se ne verificasse la necessità. Questo, In ogni caso, servirebbe non solo a tutelare il minore, ma gli fornirebbe un altro tassello di quel puzzle che altrimenti, durante la crescita, rimarrebbe incompleto. Di fatto si informerebbero meglio le coppie che decidono di adottare, evitando loro inutili traumi in caso di patologie e difficoltà come è successo alla nostra famiglia.
Nunzia Vulpio
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