
Oggi pomeriggio Chiara, Franci e la Vale sono venute da me per un caffè. Siamo mamme adottive e fra tutte mettiamo insieme una discreta esperienza di adozione internazionale.
Chiara rompe subito il ghiaccio, dicendo che per lei uno dei momenti più complicati del percorso di adozione è stato dover scegliere l’ente autorizzato (Per approfondire leggi l’articolo: Cos’è un ente autorizzato). Francamente ha proprio ragione.
In concreto vuol dire trovare il nostro intermediario nel Paese dove adotteremo, nonché unico interlocutore a livello locale. Tanto per capirci, sono quelli che hanno visto la foto di nostro figlio ancora prima di noi. L’ente autorizzato parlerà con le autorità nel Paese di adozione, presenterà la domanda e seguirà la nostra pratica fino all’abbinamento. Ma non solo, l’ente espleterà le formalità per i documenti di espatrio del bimbo; spesso organizzerà i viaggi e il soggiorno, e molti altri aspetti logistici. Insomma è una scelta delicata e non sempre facile.
Secondo Chiara, prima di scegliere definitivamente un ente bisognerebbe incontrarne diversi, senza limitarsi a quelli più vicini. E aggiunge: “Meglio incontrarli di persona, nella loro sede, portandosi una bella lista di domande.” (Per approfondire leggi l’articolo: Come scegliere l’ente)
L’esperienza maturata e la struttura di supporto che un ente può offrire in un dato Paese sono aspetti che andrebbero approfonditi fin da subito. Potreste chiedere, ad esempio, da quanti anni operano nel Paese in cui vorreste adottare, che rapporti hanno con le autorità locali e come funziona la procedura di abbinamento.
In particolare, l’ente dovrebbe poter contare almeno su di una persona che, oltre a parlare correntemente la lingua locale e l’inglese, sappia muoversi nei vari uffici competenti. Abbiamo imparato che non si tratta di un semplice interprete. “Se tornassi indietro – dice Franci – chiederei se il loro referente locale cambia sovente o se è da anni la stessa persona”.
“Io sono stata rigorosa – si inserisce la Vale – e ho chiesto le statistiche dell’ente, del tipo: quanti casi seguivano all’anno in ciascun Paese, da quanti anni e quanto era la durata media prima di ricevere un abbinamento. Ho chiesto anche quanti bambini con special needs arrivavano dal Paese che ci interessava”.
Certo, non sono domande comode, ma il rapporto con l’ente autorizzato dovrebbe essere basato sulla trasparenza e la correttezza da entrambe le parti. “Ah proposito, noi abbiamo sempre cercato di interagire con l’ente per iscritto e non soltanto a voce” dice ancora Franci.
Inoltre, è importante che all’interno dell’ente ci siano una, massimo due, persone che seguano direttamente la pratica in modo da costruire un rapporto personale e di fiducia. “Tutte le volte che avevamo un appuntamento con l’ente autorizzato, non c’era mai la stessa persona” interviene la Vale, che purtroppo ha all’attivo un cambio dell’ente in corsa.
Attenzione poi se vi sembra che i rappresentanti dell’ente minimizzino un po’ troppo; se diventano sbrigativi; se non spiegano con chiarezza determinati passaggi oppure non indicano difficoltà e costi reali del processo. “Mi ricordo di una rappresentante – racconta Franci – che alla prima riunione informativa ci disse che da un certo Paese le stavano arrivando bambini abbastanza problematicini, letterale.” Ecco, sarebbe il caso di approfondire questo genere di eufemismi.
Allo stesso modo, non si dovrebbe avere timore di affrontare in maniera esplicita l’argomento salute. Ci è capitato ad esempio che i bambini con special needs fossero presentati come una scorciatoia per ridurre l´attesa o come unica possibilità. “Mi ricordo che delle volte mi vergognavo quasi di dire che avrei desiderato un bimbo fisicamente sano”, ammette Chiara.
Il fatto è che adottare è un’esperienza stupenda, ma di per sé impegnativa. I bambini arrivano, chi più chi meno, feriti nell’animo. La cura di queste ferite e di altre difficoltà assortite, insieme alla creazione di un legame fra noi e loro, richiederanno tempo e dedizione. “Nostro figlio ci ha messo un secolo prima di abbracciarmi attivamente, mettendomi le braccia al collo intendo”, rammenta Chiara, ed è andato avanti almeno un anno chiamando “mamma” quattro o cinque persone diverse. Se non doveste sentirvela di occuparvi di malattie o disturbi importanti oppure di maltrattamenti gravi, è meglio dirlo subito”.
Franci mi ha ricordato di un’altra rappresentante, che su mia domanda, rispose che almeno il 40% degli abbinamenti da un Paese erano bambini con special needs. E quando le chiesi il perché di una percentuale così alta, disse che di solito gli altri andavano in America. “In che senso scusa?”, domanda Franci, “Nel senso che i fascicoli targati USA sovente passano prima degli altri” le risponde la Vale senza peli sulla lingua. È stato così che ci siamo resi conto che gli italiani non sono gli unici ad adottare all´estero. E che ci sono paesi come gli Stati Uniti con un approccio piuttosto pragmatico all’adozione, o forse solo meno burocratico o forse più remunerativo. “Quindi nulla, si torna a bomba sull’importanza di una struttura ben rodata che ci accompagni nel Paese”, conclude saggiamente Chiara.
È anche utile approfondire il tipo di assistenza che viene offerta sul posto. Ad esempio, un ente autorizzato dovrebbe aiutarvi a trovare un medico, se riteneste necessario un parere indipendente sulla salute del bimbo. È quello che è capitato a noi quando siamo andati a prendere nostro figlio. Per me è stato un vero sollievo potermi confrontare con una pediatra dell’ospedale locale.
“Può anche succedere che un ente autorizzato sulla carta operi in più Paesi, ma poi in pratica in uno soltanto – interviene la Vale, cambiando discorso – Di nuovo, basta guardare le statistiche. Un’organizzazione stabile in un Paese richiede un numero minimo di adozioni per essere mantenuta. Per cui l’ente potrebbe non avere la stessa esperienza e offrire le medesime garanzie in tutti i Paesi in cui è accreditato.”
“Aspetta, non ti seguo, perché è importante fare questa differenza?” chiede Franci. “Perché – spiega la Vale – se all´improvviso dovessero chiudere le adozioni nel Paese principale, come è capitato a noi, bisogna valutare se non cambiare anche l’ente.” (
A questo punto Chiara ci interrompe: “Veramente ancora prima dell’ente autorizzato, bisognerebbe scegliere il Paese in cui adottare. All´inizio non conoscevo per niente il Paese in cui è nato nostro figlio, me ne aveva parlato un’amica. Un pomeriggio ho digitato il nome su Internet. Mi ricordo ancora che quando ho visto i volti della gente, mi son quasi spuntate le lacrime agli occhi. Per cui consiglio sempre di soffermarsi sui tratti somatici, sugli sguardi, i panorami, gli usi e i costumi del Paese d’adozione, ascoltarne la lingua, la musica, etc. Anzi, sapete cosa vi dico? Bisogna innamorarsene!” Stiamo facendo tutte di sì con la testa. Dopo tante considerazioni giudiziose, bisogna ammettere che nelle nostre storie anche l’ istinto e il destino, hanno giocato un ruolo importante nella scelta del Paese e quindi dell´ente. (Per approfondire leggi l’articolo: Enti autorizzati e paesi)
Ancora un ultimo consiglio, sarebbe meglio entrare in contatto con genitori che abbiano già adottato tramite lo stesso ente o nel Paese che ci interessa. Oltre a ricevere delle buone dritte, per tutte noi è stato di grande aiuto poter vedere concretamente che l’adozione internazionale sarà pure complicata, ma è fattibile e ne vale davvero la pena.
Chiara, Franci, Paola e la Vale
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