
Un altro quesito per il Dottor Augusto Bonato, – psicologo, psicoterapeuta, già giudice onorario al Tribunale per i Minorenni di Milano – , che riguarda gli adulti adottivi, il rapporto di coppia e l’adozione.
Se avete domande da sottoporre mandate una mail a redazione@italiaadozioni.it.
Caro Dottor Bonato,
Le scrivo per cercare di comprendere cosa passa per la testa al mio ragazzo.
Solo parecchi mesi dopo l’inizio della nostra frequentazione mi ha raccontato delle sue origini, quando per caso ho guardato la sua carta d’identità, notando che la città di nascita è in un Paese estero.
Della sua storia lui non ricorda nulla, conosce solo quello che gli è stato raccontato dai suoi meravigliosi genitori adottivi (è stato adottato neonato da persone squisite, dolci, molto intelligenti e amorevoli), però mi ha stupito molto quando ho scoperto, parlandone con sua mamma, una versione dei fatti diversa.
Perché mi ha mentito? Si vergogna delle sue origini? Ci tengo a precisare che lui non parla mai dell’argomento, anzi. Se si accenna qualcosa, si infuria come un pazzo e assume atteggiamenti capricciosi e viziati come fosse un ragazzino. Spesso i suoi discorsi puntano a sottolineare solo la sua bravura e la sua importanza con toni molto arroganti, mentre in altri momenti è docile, dolce e squisito. La situazione è un po’ snervante, soprattutto per me che ho un carattere molto forte e vado contro questi atteggiamenti perché li trovo immaturi.
Vorrei quindi capire, venendo al sodo: può un’esperienza “mai” vissuta (di fatto era troppo piccolo per ricordare il distacco e non ha vissuto situazioni traumatiche) vivere nell’inconscio e turbare la psiche anche da adulti, oppure si merita solo una scrollata di capo?Io gli voglio molto bene, più volte ho cercato (forse sbagliando?) di cercare di farlo riappacificare alle sue radici proponendo di cucinare insieme piatti tipici, raccontandogli storie di successo del suo Paese o proponendogli viaggi in zona, ricevendo da lui solo sguardi increduli, un po’ umidi e poi un ostinato silenzio.
Ho bisogno di capire se i suoi atteggiamenti posso giustificarli e quindi essere più comprensiva nei suoi confronti, oppure se l’adozione in questo caso nulla centra. Vorrei aiutarlo per renderlo più sereno e renderlo meno “arrabbiato”.
Non conosco il mondo delle adozioni o quello che può provare un ragazzo che ha la consapevolezza di essere stato adottato, mi viene purtroppo da sostenere che i suoi problemi non abbiano questa natura.
Grazie, se mi vorrà aiutare a far chiarezza.
Una fidanzata in difficoltà
Il Dottor Bonato risponde:
Gentile lettrice,
c’è un ragazzo nella sua vita, che lei frequenta da parecchi mesi, le cui parole e i cui comportamenti le sono spesso incomprensibili e fonte di inquietudine, per cui si chiede che cosa passi per la sua testa. Magari non lo sa nemmeno lui.
Lo descrive come poco incline a parlare della sue vicende personali importanti, cose che, di solito, persone che si vogliono bene e si stimano, si raccontano. Vicende che lei viene a conoscere casualmente e che i suoi genitori riferiscono diversamente da come lui le racconta.
Dice che spesso lui assume atteggiamenti arroganti e supponenti e lei sente che è giusto testimoniare che in certi momenti si mostra “docile, dolce, squisito”.
C’è un argomento cruciale nella vita del suo ragazzo del quale lui non vuole parlare; anzi, se capita che qualcuno lo tocchi in sua presenza, diventa “furioso come un matto”, ed è quello dell’adozione. Tasto evidentemente doloroso della sua storia.
Lei vorrebbe sapere come sia possibile che un bambino adottato a soli “tre mesi” da “genitori meravigliosi, persone squisite, dolci, molto intelligenti e amorevoli” abbia subito un “trauma”. Lui non ricorda nulla di quell’esperienza (verosimilmente) e , pertanto, secondo lei, non è “mai stata vissuta”.
Ma “è” stata vissuta.
La memoria inconscia delle origini
Il corpo, il nostro cervello, i nostri sensi, hanno una memoria vasta e raffinatissima. C’è un “sapere”, un “ricordarsi”, una conoscenza che non è razionale e consapevole, ma è di natura inconscia, sensoriale, emotiva, fantasmatica, ineffabile ma non per questo meno reale e operativa. Un “sapere” che affonda le sue radici nella vita prenatale, embrionale, fetale, e che opportune osservazioni cliniche ecografiche longitudinali confermano.
Normalmente all’origine di ogni adozione c’è il dolore per una perdita, una rottura dei legami originari, familiari, biologici e affettivi.
Anche un neonato sano, partorito in un contesto di assistenza sanitaria adeguata, la cui madre però non si sente nelle condizioni di poterlo accudire e crescere bene e lo abbandona, prova dolore perché perde improvvisamente e definitivamente il timbro della sua voce, il ritmo del suo respiro e del battito del suo cuore: gli mancano i nove mesi di una vita intima, viscerale condivisa con la madre.
Arriverà il tempo della consolazione, che potrà risanare questa perdita originaria. E molto spesso il nuovo nato la troverà, o dovrebbe trovarla, in una adozione ben riuscita.
L’adozione quindi non è una tara ereditaria, una sindrome genetica. I figli adottivi non sono malati, hanno conosciuto un male particolare, specifico.
L’adozione, in un certo senso, è antica quanto la specie umana. Ed è stata pensata e praticata proprio come una “terapia” per questo trauma. Non sempre la terapia ha funzionato e funziona. Molto spesso sì.
Adottivi adulti e relazioni familiari ed extra familiari
Però non tutto quello che noi siamo e diventeremo è già scritto e determinato dalla prima pagina del libro della nostra esistenza. Anche per il suo ragazzo conta moltissimo il clima affettivo delle relazioni all’interno e fuori della famiglia adottiva, nella scuola, nel mondo dei pari, nella società, nelle vicende culturali e politiche, professionali nelle quali opererà le sue scelte e si dipanerà la sua storia. Tutto, in modi e in gradi differenti, concorre alla costruzione di una persona, al suo crescere in umanità, al suo maturare e al fecondo esprimersi degli affetti.
Sul cielo della vostra relazione sentimentale passano molto spesso nuvoloni scuri che minacciano tempeste. Si capisce perciò che, per lei, la “situazione sia un po’ snervante”. Sembra far intendere che è di fronte a delle scelte importanti e non le è chiaro come orientarsi. La risposta la può trovare solo dentro di sé e arrivare, col tempo necessario, a capire se questo giovane sia proprio la persona giusta per lei, quella che la può far sentire viva, libera, di sano buon umore, in grado di fare progetti e fiduciosa nel suo avvenire.
E’ normale che durante questo tempo necessario a un chiaro discernimento lei passi attraverso fasi di dubbio, di crisi, di trepidazione. Nessuno viene risparmiato.
Ma la sua non può essere la decisione del “sacrificio di sé” per prefiggersi obiettivi eroici. Non ci è dato il potere di cambiare la testa e il cuore a nessuno.
Alla fine di queste riflessioni mi è tornato in mente il Popolo dell’Antico Testamento che, fra i suoi proverbi ed esortazioni conteneva anche questa invocazione: “il tuo Spirito buono ci guidi in terra piana”.
Augusto Bonato
psicologo-psicoterapeuta, già giudice onorario al Tribunale per i Minorenni di Milano.
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