
Allattamento e adozione: indotto sì? Allattamento indotto no? Una studentessa universitaria, che sta facendo una ricerca sull’argomento, ne presenta i pro e i contro.
Probabilmente ciò di cui sto per parlare lascerà stupiti buona parte dei lettori ma, in fondo, l’obiettivo è proprio questo: riaccendere la meraviglia davanti alla straordinaria magia del corpo di una mamma.
L’allattamento senza gravidanza, anche detto allattamento indotto, è una pratica grazie a cui una mamma può scegliere di allattare al seno suo figlio (o anche i suoi figli) in caso di adozione, anche in assenza di gravidanze precedenti e figli biologici.
Le radici ricadono molto lontane nella storia: già nel 1935, il medico Antonio Scarpa presentò durante il IV Congresso Nazionale di Nipiologia tenutosi a Trieste i risultati di un’inchiesta su questo “curioso” fenomeno che egli chiamò “lactatio agravidica”; in numerosi popoli primitivi, quali gli Irokesi del Nord America, gli Australiani, i Betschuani dell’Africa Meridionale e gli Eschimesi, era stato osservato che bambini rimasti orfani di madre in seguito al parto venivano nutriti al seno da altre donne, molto spesso in menopausa o anche molto giovani senza figli biologici. Per indurre una lattazione adatta alle necessità del neonato, si procedeva con massaggi al seno, attaccando il neonato al capezzolo ed assumendo bevande a base di piante galattogene. (1) (2)
E oggi? Sfortunatamente l’allattamento indotto è un tema sconosciuto non solo alla maggior parte delle persone, ma anche agli operatori sanitari che potrebbero invece offrire questa valida opportunità ai futuri genitori adottivi.
Quali sono le tecniche utilizzate per produrre latte?
In condizioni fisiologiche, ovvero quando si è instaurata la gravidanza, la ghiandola mammaria, sotto l’influsso ormonale, inizia a produrre piccole quantità di colostro già nel secondo trimestre di gravidanza per poi aumentare man mano la produzione dopo la nascita del bambino, non solo a causa del nuovo assetto ormonale ma soprattutto grazie alla frequente suzione. Infatti, senza un’adeguata stimolazione del capezzolo, anche una mamma che ha partorito non produrrà una giusta quantità di latte.
Anche nell’allattamento indotto la parte fondamentale e necessaria è una corretta e frequente stimolazione del capezzolo, tramite la suzione del bambino o anche con l’aiuto della spremitura manuale e/o della tiralatte anche prima dell’arrivo del piccolo. Nei primi tempi, la stimolazione può essere coadiuvata anche dall’utilizzo del DAS, un dispositivo di allattamento supplementare costituito da un contenitore pieno di latte che la mamma appende al collo, da cui partono due tubicini fissati ai capezzoli; in questo modo la mamma può contemporaneamente stimolare il capezzolo e dare l’aggiunta di latte senza distaccare il bambino dal seno.
Di fondamentale importanza, al fine di stabilire un corretto attacco al seno, è la vicinanza skin-to-skin tra madre e bambino, ovvero il contatto pelle a pelle tra i due, che deve essere mantenuta per il maggior tempo possibile.
Altri metodi utilizzati sono il ricorso a farmaci e fitoterapici capaci di favorire la produzione di latte influendo sul pattern ormonale. Va sottolineato che nel primo caso si tratta di farmaci off-label, ovvero utilizzati per un trattamento che non è previsto nel riassunto delle indicazioni e per cui sussiste la possibilità di effetti collaterali che vanno assolutamente presi in considerazione e discussi con il professionista a cui ci si rivolge. È possibile anche il ricorso alla pillola anticoncezionale, la quale riesce a ricreare artificialmente la condizione ormonale della gravidanza.
La produzione di latte insorge in tempi estremamente variabili e diversi tra donna e donna, in base ai metodi usati e soprattutto in base al suo stato psicologico, ma può essere mantenuta tranquillamente fino a quando mamma e bambino lo desiderano, come qualsiasi allattamento “fisiologico”.
Quali sono i benefici dell’allattamento indotto?
Allattare un bambino adottato significa nutrirlo non solo nel corpo, ma anche dal punto di vista emotivo, relazionale e psicologico.
È ormai noto che il latte materno rappresenti per un bambino il gold standard rispetto ai suoi fabbisogni nutrizionali e che rappresenti un fattore protettivo sul breve termine, ad esempio per quel che riguarda malattie infettive dell’apparato respiratorio e gastrointestinale, ma anche sul lungo termine, garantendo una riduzione dell’incidenza di patologie importanti quali allergie ed obesità nonché un corretto sviluppo neurologico e del sistema immunitario.
La buona notizia è che il latte prodotto da una mamma che non ha partorito sembra avere la stessa quantità, se non anche quantità più elevate, di proteine totali, Immunoglobuline A (IgA), lattoferrina e lisozima rispetto al latte di una puerpera, mantenendo quindi tutte le proprietà sopracitate. (3)
Importantissimo è anche l’aspetto psicologico che comporta tale pratica. L’allattamento di per sé rappresenta un gesto di amore, di empatia, di rassicurazione, di vicinanza fisica ed emozionale che lega la madre e il suo bambino e che, quindi, nella fattispecie di un’adozione, può sicuramente rappresentare un mezzo in più per ricreare il bonding, ovvero il legame profondo, che è mancato al momento della nascita. (4)
Quali sono, invece, i contro?
Non ci sono aspetti particolari che potrebbero essere definiti come “contro”, ma dovremo comunque considerare degli aspetti da valutare in modo ponderato prima di incamminarsi lungo questo percorso.
In primis, vanno presi in considerazione la motivazione e l’attitudine della mamma; l’allattamento indotto comporta la necessità di una grande forza d’animo e di desiderio di raggiungere l’obiettivo: non si tratta infatti di un percorso sempre in discesa ma piuttosto di un sentiero di montagna, uno di quelli un po’ faticosi da percorrere ma che, una volta raggiunta la vetta, regalano uno spettacolo mozzafiato.
È inoltre risaputo che le difficoltà sembrino più facilmente superabili se si ha il giusto supporto; questa regola è valida anche in questo caso: il supporto e la vicinanza del partner, della famiglia e, non in ultimo, dell’operatore a cui ci si è affidati, rappresentano un punto cruciale nella buona riuscita dell’allattamento.
Va considerato anche l’impatto dato dalla società in cui si vive: le madri adottive dei Paesi in via di sviluppo sembrano avere un tasso di successo maggiore rispetto a quello delle madri occidentali. Le motivazioni sono proprio da ricercarsi nel fatto che le prime siano inserite in una cultura che supporta l’allattamento al seno e tutte le pratiche che possono favorirlo, in quanto ancora considerato come “normalità biologica”. Ciò non accade più nella cultura occidentale, dove si è assistito ad un progressivo allontanamento fisico tra madri e bambini, che ha condotto ad una conoscenza sempre minore dell’allattamento al seno, alla mancanza di fiducia nella capacità di poter nutrire adeguatamente il proprio bambino, alla creazione di false credenze e cattive abitudini, in primis il considerare la vicinanza con i genitori come un “vizio” e non come “necessità del cucciolo”. (5)
Ultimo aspetto di cui parlare è anche l’eventuale comparsa di effetti collaterali collegati all’uso di taluni farmaci utilizzati, se strettamente necessario, per indurre la lattazione e di cui abbiamo parlato precedentemente.
Per tutte queste ragioni, le informazioni riguardanti la possibilità di allattare un bambino adottato dovrebbero essere offerte a tutte le famiglie adottive, in modo da dare loro gli strumenti per decidere consapevolmente e liberamente a tal proposito. Potrete chiedere aiuto alla/al vostra/o ostetrica/o, consulente IBCLC (International Board Certified Lactation Consultant, tradotto in italiano con la dicitura Consulente Professionale in Allattamento Materno) o pediatra di fiducia che sapranno indirizzarvi nel migliore dei modi.
Nicoletta Borrelli
(2) http://www.etnomedicina.unige.it/area2.php?lang=1&areatematica=14
(3) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25288606
(4) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7193971
(5) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17004343
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