
Leggi l’articolo e la riflessione sul caso. Si tratta di un’adozione nazionale special needs.
Le due sorelline disabili
Questa tristissima vicenda, narrata da una dei protagonisti nella newsletter di “Punto Famiglia” del 19 giugno u.s., si può comprendere, almeno in parte, alla luce di quello che può essere chiamato “calvario” o “dolore innocente”.
La racconterei così: in una giovane famiglia nasce un bambino con importanti disabilità. Quel bambino suscita nei genitori, nella famiglia estesa, negli amici, oltre allo sgomento, alla pena indicibile, sentimenti quali “non ce la faccio a vederlo” e fantasie di evitamento o di espulsione: e se lo si affidasse alle cure delle istituzioni sanitarie e psico-educative specializzate in questa materia?
Essere abitati da simili spinte emozionali non è una colpa ma sicuramente fonte di profondi “sensi di colpa” che ordinariamente attivano affetti e gesti riparativi e la capacità di trovare nella cura paziente di questo piccolo anche la gioia di cogliere mille piccoli progressi e segni di potenzialità mai lontanamente immaginate o sperate.
La sorella del bambino, autrice della lettera, afferma: “So cosa prova una famiglia quando si sente abbandonata da tutto e da tutti…e senti il vuoto delle istituzioni che si intreccia col vuoto di sensibilità sociale verso le problematiche legate ai figli affetti da gravi disabilità…”
Si sposa e, con il marito, desidera un figlio. Che purtroppo non arriva. Altro lutto da elaborare. Forse entrambi si sentono vittime di una nuova ingiustizia e si arrabbiano. Il dolore poco a poco si stempera perché si affaccia al loro orizzonte la scintilla di una possibile genitorialità adottiva (genitorialità vera, piena, non “di scarto”).
La lettera inizia dalla fase della cosiddetta “proposta” ai candidati genitori del bambino o dei bambini bisognosi di una nuova famiglia e in attesa di essere adottati. Non accenna minimamente ai tanti, importanti passaggi intermedi che devono essere attraversati e che normalmente esigono anni ( in questo caso quattro) e coinvolgono vari professionisti dei Servizi sociali e sanitari di territorio: psicologi, neuropsichiatra infantile, assistenti sociali, educatori di comunità, giudici dell’abbinamento.
La valutazione dei Servizi Sociali
Le relazioni che i Servizi di territorio sono tenuti a mandare al T.M. sono in genere accurate, complete di tutte le notizie e degli elementi di valutazione dei componenti della coppia che si candida all’adozione: le due storie delle famiglie di origine, la storia di vita di ciascun coniuge, il suo processo di maturazione umana, affettiva, culturale, sociale, professionale; il raggiungimento di una piena emancipazione psicologica.
Di solito questa relazione si conclude con un giudizio più o meno esplicito sull’idoneità all’adozione, e per quale tipo di bambini. Normalmente questa relazione viene letta alla coppia prima di essere inviata al Tribunale per i Minorenni competente per territorio ma può essere anche integrata dall’opinione degli aspiranti genitori.
Alla coppia in oggetto viene proposta l’adozione di due sorelline disabili, la maggiore delle quali ha dodici anni.
“I miei famigliari erano contrari. L’unica che avevo dalla mia parte era mia madre. Mio padre non si espresse mai né in un senso né nell’altro”. Quasi soli.
La giovane ritiene che il fatto di essere cresciuta in una famiglia con un fratello disabile abbia rappresentato, per i giudici, un titolo a favore della proposta alla coppia non solo di una bambina con grave disabilità, ma addirittura di due sorelline disabili.
I due però collassano dopo tre settimane di fatiche che non si possono dire, e dichiarano la propria impotenza a proseguire nel compito accettato.
Il resto si commenta solo con un doveroso silenzio pieno di comprensione.
Non si conosce il T.M. dove si è svolta la storia riferita.
Il bambino che, per una ragione o per l’altra, ha perduto i genitori di nascita, ha diritto ad avere una nuova mamma e un nuovo papà, una nuova famiglia che sia per lui la migliore possibile, la più adeguata e in grado di soddisfare i suoi personali, speciali bisogni di salute fisica e mentale, sociale e culturale allo scopo di poter arrivare al più alto livello di maturità umana possibile.
Adozione nazionale e bambini portori di handicap
Una parte non irrilevante dei bambini che hanno bisogno di adozione sono portatori di handicap più o meno gravi, come le due bambine delle quali si è parlato.
Per ogni bambino adottabile l’équipe del T.M., incaricata di cercare e trovare la coppia “giusta” per i suoi bisogni, ne convoca un certo numero: da sei a quindici e oltre fra quelle che hanno dato la disponibilità ad accogliere anche un portatore di handicap più o meno grave. E prosegue la ricerca, le convocazioni e audizioni fin che non ne incontra una che la convinca, che la rassicuri che il piccolo sarà in buone mani.
Come si pongono le coppie davanti ad una proposta special needs
E’ vario il panorama umano che si incontra nelle audizioni delle coppie aspiranti all’adozione.
Ci sono quelle nelle quali prevale il “bisogno” (più che il desiderio) di avere un bambino, che vivono come un “diritto”, e per questo si dichiarano disposte a tutto, anche ad accogliere qualunque patologia possa avere il bambino, convinte che il loro amore sia capace di ogni miracolo. Non immaginano lontanamente quanto un figlio “malato” possa impegnare la loro mente, il loro tempo, tutta la loro esistenza futura e quella delle persone della loro famiglia.
Ce ne sono altre che si dichiarano disponibili alle situazioni più difficili e problematiche, ma manifestano una preoccupante attitudine sacrificale.
Altre ancora che, quando vengono loro adombrate situazioni di bambini con seri problemi di salute, temono di mettere a repentaglio il proprio legame coniugale e sono, comprensibilmente, prese da profonda angoscia ed esprimono, con onestà e sofferenza, la propria indisponibilità.
Il Tribunale non cerca eroi o martiri e non chiede ad alcuno di diventarlo. Le persone sono invitate a considerare con serietà la situazione del bambino concreto-reale che viene loro proposto e di valutare con prudenza se si sentono in grado di accoglierlo, per sempre, con serenità e fiducia in sé stesse e nella loro famiglia.
A volte, dopo mesi e mesi di ricerche e di convocazioni estese su tutto il territorio nazionale e in seguito ad “appelli” pubblicati su quotidiani e riviste sensibili ai valori umanitari di solidarietà, ci si imbatte in due persone che suscitano sentimenti di meraviglia, al limite dell’incredulità. Persone equilibrate, dotate di un buon contatto con la realtà, vitali, psicologicamente mature, con una storia di vita fondata su solidi affetti famigliari. Non risparmiate da fatiche e sofferenze, ma nutrite da belle esperienze culturali, lavorative, amicali, sportive, di volontariato, arrivano a pensare che sia “quasi normale”, per loro e per i loro parenti, accogliere un bambino malato o problematico.
Anche i giudici talvolta sono molto contenti.
Augusto Bonato
Psicologo, psicoterapeuta, già giudice onorario al Tribunale dei Minori di Milano
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