
Quando arriva alla scuola secondaria di primo grado il ragazzo adottato talvolta può oscillare tra il desiderio di raccontare di sé e la paura di farlo. Il tema di italiano può essere un buon metodo per permettere all’alunno di parlare di sé e della sua vita. In questo articolo una professoressa di lettere racconta la sua esperienza maturata in tanti anni di insegnamento.
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Trovare le parole per raccontare l’adozione
Quando i bambini adottati arrivano alle medie non sempre trovano ancora le parole per raccontare quello che gli è accaduto. Alla scuola primaria era tutto più facile, alla maestra si dà del tu, è una figura spesso materna, si passano tante, tantissime ore con lei… Arrivati alle medie inizia la diffidenza, la paura di essere giudicati diversi, da meno. Si vuole essere uguali ai propri compagni e uguali non si è, ci si porta dietro una storia faticosa, che urge dentro, ma non sa come uscire. Pochi, pochissimi la raccontano con orgoglio; nella mia esperienza di solito sono quelli che hanno avuto delle sofferenze anche fisiche e che spesso mostrano con soddisfazione (!) le cicatrici…
Ho avuto alunni che in ogni tema, qualsiasi fosse l’argomento, “infilavano” la loro storia… Ma molti, moltissimi la negano (“Prof, che cosa vuol dire adozione?”, chiede sfidandomi una mia alunna in Italia da pochi anni), la minimizzano agli occhi dei compagni. Ma le difficoltà linguistiche che emergono, la distraibilità, l’impossibilità a stare fermi diventano presto agli occhi dei compagni segni distintivi della tanto temuta diversità.
Il bisogno di raccontare è spesso nascosto anche a se stessi, ma a mio parere deve trovare degli strumenti, dei percorsi, degli “sfoghi”. La scrittura, a questo punto, è spesso “catartica”, aiuta a trovare un punto di incontro tra interlocutori apparentemente lontani, un tema, una riflessione è letta “in differita”, non davanti a me, non devo guardare negli occhi la prof finché le racconto la mia sofferenza. E poi il tema non è un fatto così privato, in molti c’è la segreta speranza che anche i genitori “di cuore” leggano. Per ringraziarli, per raccontargli quello che non si sa come dire, per spiegare loro che c’è un posticino ancora nel nostro cuore per gli “altri”, anche se…
Temi che piacciono ai pre adolescenti
Due titoli mi hanno stupito per la rispondenza che hanno trovato presso gli alunni, non solo quelli adottati. Sono temi che analizzano la propria condizione di figli, di cuccioli pronti a spiccare il volo, di interlocutori che spesso a casa non hanno ancora lo spazio per giudicare, ma che vogliono mantenere con la propria famiglia un dialogo che li veda forse per la prima volta cresciuti.
Il primo è un titolo semplice, banale: Lettera a mio figlio. Banale non ne è la lettura: l’invito è quello di scrivere una lettera ai propri futuri figli, immaginando cosa si vuole consigliare o raccontare loro. Oppure (e qui c’è la scelta fondamentale), scrivere la lettera che si vorrebbe ricevere dai propri genitori, oggi.
Gli alunni adottivi scelgono spesso questa seconda opzione e si fanno scrivere, direi sempre, dai genitori biologici! Questi ultimi chiedono loro scusa, spiegano le circostanze spesso fantasiose della loro adozione, dicono di averlo fatto per amore. Non credo di dover ulteriormente spiegare cosa spinge questi piccoli grandi bambini a scrivere così.
Il secondo titolo l’ho ricavato dai suggerimenti che Francesca Carioni presenta nel nostro sito a riguardo dell’albero genealogico da utilizzare nella scuola primaria: Scrivi una pagina di diario presentando una riflessione sulle tappe essenziali della tua vita: chi ti ha dato affetto, quali persone senti più vicine tra quelle che ti vogliono bene e perché, quali insegnamenti preziosi ti sono stati dati e da chi, con quali valori affronterai il tuo futuro.
Anche questo titolo suscita un notevole interesse tra tutti i preadolescenti, che amano raccontare passato e presente, definire se stessi in un rapporto di affetto gratuito che li ha portati a crescere. Nei ragazzi adottati c’è sempre qualcosa in più. Ad esempio il racconto di un passato difficile, spesso sfumato rispetto alla realtà. La fatica di credere che la nuova famiglia sia “per sempre” e l’amore assolutamente sconfinato per i fratelli che li hanno accompagnati nella nuova vita, unito spesso ad un rimpianto indicibile per quelli che, invece, sono rimasti nel Paese d’origine.
Da questo momento in poi, magari senza verbalizzarlo, questa mano tesa nei confronti del proprio insegnante segna un nuovo inizio, che permette una fiducia e una stima reciproca che farà decollare il rapporto educativo, creando le basi per una crescita più serena dell’alunno adottato e una buona dose di “umiltà” (non saprei chiamarla diversamente) in chi per qualche anno veglierà su questa crescita.
Ci farebbe molto piacere avere riscontri dalle docenti che decideranno di utilizzare i titoli proposti per i temi nelle loro classi. Scrivete a redazione@italiaadozioni.it le vostre esperienze e i vostri suggerimenti
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