
Il covid 19 ha segnato le nostre vite: con mio marito alle volte ci chiediamo come sarà il “dopo”. Quanto sarà strano tornare a stringere la mano ad un estraneo, ad abbracciarci o a compiere tutti quei gesti spontanei che con il virus ci sono stati negati.
Ma soprattutto, ci interroghiamo sul perché il covid sia andato a colpire anche i genitori e futuri genitori adottivi. Proprio noi che già di battaglie ne abbiamo affrontate diverse per arrivare fino qui e troppe ancora ne dovremo affrontare: il percorso con assistente sociale e psicologo così come i vari corsi sull’adozione tutti molto importanti, ma certe volte anche molto “pesanti” per gli argomenti trattati. E poi il fatto di presentarsi davanti al giudice in Tribunale per essere “giudicati” in grado o meno di poter diventare genitori adottivi.
Attesa per l’idoneità
E poi l’attesa per l’idoneità, la scelta dell’ente, ancora corsi, ancora incontri e il mandato. La scelta del Paese che per noi è sempre stata la Cina, visto che siamo molto legati a questo Paese; e ancora, la preparazione dei documenti, gli ostacoli legati agli appuntamenti in fase lockdown con uffici del Comune, Procura, etc. Insomma, uno sfinimento che nel momento in cui ha avuto il suo bell’epilogo, ovvero la frase: “Siete ufficialmente in lista di attesa” si è interrotto prima di iniziare.
Abbiamo sempre cercato di vivere bene ogni fase del nostro percorso, confrontandoci e parlando di quello che ci preoccupava, alle volte sognando anche un po’ ad occhi aperti. Ma il covid, come per tante coppie che hanno già il loro abbinamento e quindi il loro bambino che li attende, ha bloccato tutto. Gli abbinamenti sono fermi e non si sa quando riprenderanno e i lunghi 3 anni che ci avevano prospettato adesso sembrano un tempo indefinito. Come se tre anni fossero stati pochi.
“Ma voi siete giovani!” – ci dicono.
Attesa di nuovo
L’attesa però è dura per tutti. E come si fa ad ingannarla?
Leggiamo libri sull’adozione e abbiamo iniziato a preparare la cameretta, poche cose ma senza dubbio fatte con il cuore: due sportellini nuovi fatti a mano da mio marito amante del fai da te e della lavorazione del legno per rendere “nuovo” un vecchio mobiletto. Una mensola a forma di nuvola, vista sul web e fatta sempre da mio marito, ma che adesso non sappiamo come attaccare al muro. Un viaggio (quando era ancora possibile) per scegliere l’armadio più adatto alla piccola cameretta, le pareti rinfrescate con vernice bianca, perché è ancora troppo presto per scegliere un colore. E poi la scelta del regalo di Natale che ormai abbiamo deciso di fare ogni anno in attesa di abbracciare il nostro bambino o bambina.
Da parte mia, sto preparando un libro tattile, di quelli con le pagine morbide: “Per quale età lo fai? I bottoni che hai messo non sono adatti ad un bambino troppo piccolo!” – ha detto mia mamma.
Ma la verità è che non lo so per quale età lo sto facendo, non so proprio niente. Scelgo una pagina di feltro rosa e mi chiedo: “E se sarà un maschio?”. Metto una decorazione e mi chiedo: “E se non sarà adatta all’età di nostro figlio?”.
Ma come faccio a saperlo, non posso. Non possiamo sapere niente e ora come ora, con le adozioni in Cina al momento bloccate, tante volte mi chiedo se il nostro bambino arriverà mai. Mio marito mi mette una mano sulla spalla e mi dice: “Arriverà, non è questo il momento di arrendersi o di demoralizzarsi”. Lui, la mia forza e la parte razionale di me, sono sicura che sarà un papà fantastico.
Intanto, presa da attimi di sconforto che arrivano ad ondate quando meno me lo aspetto, mi sono resa conto che tenere una sorta di diario in cui scrivo i miei pensieri dell’attesa aiuta molto. Questo un piccolo estratto di un momento “no” che ho avuto una sera di novembre:
“Piccolo mio, ti amo così tanto e ancora neppure ti conosco. Chissà se sarai già nato, se sei stato abbandonato o se ancora sei con i tuoi genitori. Chissà se ancora devi nascere, e chissà in quale parte di mondo ti trovi anche se a questo punto credo fermamente che tu sia nato in Cina. La Cina però è un posto così grande e tu sarai un piccolo puntino. Chissà se stai bene, o se stai soffrendo, se in questo momento avrai freddo o caldo, se c’è una coperta che ti scalda nelle sere fredde d’autunno, se sei amato o se soffri la solitudine. Se due braccia ti stringono o se sei da solo e il mondo là fuori ti spaventa. Magari starai ridendo o piangendo, forse qualcuno in attesa di incontrarci si starà prendendo cura di te e io questo me lo auguro davvero.
Questa sera, davanti a questo cielo nero e ad una luna opaca e senza che nessuna stella brilli nel cielo o almeno io da qui non riesca a vederla, mi sento perduta, forse come te. Forse anche se siamo immensamente lontani, se non ci conosciamo e tutto questo sembra impossibile da descrivere, i nostri cuori sono già vicini. Forse le lacrime che cadono lente e calde sul mio viso sono le stesse che sfiorano anche le tue guance. Spero che in questa fredda sera di novembre il mio cuore che batte già forte per te ti possa riscaldare. Chissà se ti senti solo, io senza di te mi ci sento tanto, ma spero che un giorno ci incontreremo… Fino a quel giorno guardiamo il cielo che anche a distanza di km è più o meno sempre lo stesso”.
Attesa insieme
Alle coppie che come noi stanno vivendo in un limbo vorrei dire inoltre una cosa alla quale spesso penso e che mi dà coraggio: “Ogni giorno in più che viviamo è un giorno in meno di attesa. Ce la faremo!”
Una mamma in attesa
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