
Credo che per trattare il tema delle crisi adottive sia necessario un approccio che prenda in considerazione, oltre agli aspetti tecnici-professionali, anche la sfera dell’immaginario e delle emozioni.
Un livello elevato di sofferenza, infatti, si configura come fil rouge della presa in carico e ciò ha un impatto su tutti gli attori, in primis il minore e i suoi genitori. In qualità di assistente sociale che opera nel settore della giustizia minorile negli ultimi anni mi sono occupato di diverse situazioni che afferiscono alla definizione del CISMAI di Crisi Adottiva.
Evidentemente le crisi adottive che sfociano nel processo penale al minore sono una nicchia. Esiste però un numero significativo di situazioni che arrivano all’attenzione dei Servizi sociali. Come ci arrivano? Spesso sono i genitori adottivi stessi che si rivolgono ai Servizi chiedendo aiuto. Non sanno più come gestire figli che iniziano ad implementare modalità disfunzionali. Minori nervosi, agitati, che rispondono male. In estrema sintesi ragazzi che iniziano a non riconoscere più il ruolo e l’autorità dei genitori.
Problematiche che riguardano anche i ragazzi/le ragazze non adottati/e? Certamente. Dal mio osservatorio operativo posso però testimoniare che sovente i livelli di complessità che coinvolgono le famiglie costituitesi grazie all’adozione sono superiori alla media.
Nelle crisi adottive, in particolare, ho sempre incontrato 3 macro livelli di complessità:
– la storia di coppia e l’iter adottivo;
– le caratteristiche personologiche del/della minore
– le origini.
Tali livelli sono specifici dell’adozione e, nella mia esperienza possono essere i trigger della crisi.
Ho svolto colloqui con coppie genitoriali che, nonostante i percorsi effettuati e l’idoneità ad adottare ottenuta, non avevano rielaborato vari episodi dolorosi delle loro storie di vita. Ho incontrato ragazzi con difficoltà psicologiche evidenti. Giovani con tantissime domande sulle loro origini. Domande che però spesso non riuscivano a socializzare a causa di rilevanti e numerose paure. Ora non mi voglio lanciare in interpretazioni superficiali. Devo essere sincero: nonostante mi sia occupato di numerose crisi adottive e abbia anche studiato in profondità il tema nella mia testa prevale l’incertezza e la confusione.
Anche in vista della scrittura di questo articolo mi sono interrogato sul perché dentro di me sia così incerto. Non ho una risposta definitiva ma credo che alla fine sia normale. Ogni famiglia adottiva “in crisi” che ho incontrato si è configurata come un micro mondo del quale sono riuscito a percepire solo una piccola percentuale.
Necessarie équipe multidisciplinari specializzate
Mi sono messo a disposizione portando il mio bagaglio professionale e un genuino desiderio di cercare di fornire un supporto qualificato. Ma per accompagnare le famiglie adottive in crisi non basta un solo operatore. Servono, a mio parere, delle equipe specializzate che attuino quanto prima una presa in carico intensiva. Nell’attuale panorama dei Servizi sociali e di salute mentale prevale, invece, una frammentazione degli interventi. Le risorse sono poche e spesso situazioni così delicate non hanno la giusta attenzione (ovviamente non per volontà degli operatori ma a causa dei carichi di lavoro che la pandemia ha ulteriormente esacerbato).
Io credo sia fondamentale pensare a modalità nuove per fornire un follow up strutturato ed istituzionalmente riconosciuto alle famiglie adottive. Si potrebbe pensare di creare un Servizio pubblico ad hoc che si occupi del post adozione e di un’altra tematica delicatissima per la quale vi sono state delle risposte forse ancora più frammentate: il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche. In uno scenario (speriamo non utopico) nel quale venisse approvato il disegno di legge attualmente incardinato in Parlamento un Servizio pubblico potrebbe evitare che le norme approvate non abbiano poi un riscontro effettivo nella realtà.
Spero vivamente possano essere messe in campo delle risorse dedicate altrimenti ci troveremo sempre a “rincorrere” la complessità insita nella crisi adottiva invece che a “prevenirla” rendendola quindi più gestibile.
A.S. Luigi Grigis
(luigi.grigis@gmail.com)
Mi sono ritrovata nelle tue parole, si tratta di un argomento molto complesso poiché vi sono molti attori ed ognuno di loro porta un pezzetto della storia familiare letta attraverso la propria storia individuale, praticamente “un compromesso storico” . Concordo sull’equipe multidisciplinare, non possiamo essere da soli a supportare un piccolo cosmo umano.
grazie per il commento.
Da soli possiamo poco in generale e ancora di più a cospetto delle crisi adottive. Solo tanti sguardi tra loro coordinati possono fornire alle famiglie un intervento qualificato.
È un argomento complesso in una nazione che per qualsiasi cosa alla fine ti lascia solo o circondato da poche persone volonterose che fanno quello che possono perché anch’esse mal supportate. L’adozione con i suoi pregi e problemi fa ancora paura ai più perché bisogna impegnarsi.