
Il tema delle discriminazioni e del razzismo tocca ciascuno di noi. Nessuno escluso. Ciascuno di noi è portatore di una qualche “diversità”, che è poi il tratto caratteristico personale, la peculiarità del singolo soggetto.
Nel caso delle famiglie adottive la “diversità” è una scelta, è un valore, è una condizione ineludibile. Non si diventa genitori adottivi per caso o controvoglia. Soprattutto nel caso dell’adozione internazionale – l’ho visto adottando una bambina cilena di 10 anni, nel 2003 – il confronto con l’Altro diverso da noi è nella realtà delle cose. L’Alterità si incarna in una persona che può avere già un suo passato importante, una sua storia, un suo vissuto complesso con cui fare i conti.
Lo stesso nostro Paese, l’Italia, è caratterizzato dalle diversità, tanto da farne una comunità da sempre “multiculturale”. Un Paese multiculturale che, grazie all’integrazione nazionale e a una lingua e istituzioni comuni, è diventato “interculturale”.
Sgomenta, quindi, il clima di intolleranza e gli atti di discriminazione contro il “diverso” – per colore della pelle, provenienza etnica, lingua od orientamento sessuale – che si sono andati diffondendo negli ultimi anni.
Discriminazione, paura e razzismo
È un dato di fatto che la classe politica italiana che si è succeduta al governo delle istituzioni non ha mai tematizzato il fenomeno dell’immigrazione. Ne è un’espressione il sistema dei media che tornano, ogni tanto, a parlare di “emergenza immigrazione”, come se l’arrivo dei migranti fosse un terremoto che ogni tanto torna a riaffacciarsi. La scuola ha invece fatto fronte all’immigrazione e allo stato “multiculturale” della società italiana perché vi è abituata da sempre.
L’immigrazione, la “diversità culturale”, l’incertezza e l’ambivalenza che una società multiculturale si porta dietro sono così temi mai affrontati in modo strutturale in Italia. A questa carenza di fondo si è andato sommando il deficit culturale e d’istruzione del popolo italiano: basso tasso di laureati, analfabetismo di ritorno, scarsa diffusione della stampa scritta. Vi si aggiunge poi l’invecchiamento della popolazione: l’avanzamento dell’età, con le sue fragilità, porta all’accrescimento delle incertezze sul futuro e delle paure.
La prevalenza di una cultura televisiva – che da inizio anni ottanta ha pervaso la nostra società – contribuisce alla diffusione del senso di insicurezza, come dimostrano le teorie dei mass media: chi fa un uso massiccio della televisione sovrastima il livello di violenza nel proprio quartiere.
A questa situazione si è aggiunta – sia a livello politico che in alcune frange della società – un venir meno dell’impegno per i diritti civili e della persona. Il fenomeno del terrorismo, un’esagerata paura della criminalità, il pretesto dell’immigrazione hanno portato a “politiche securitarie” che hanno ridotto gli spazi di libertà, di democrazia, senza fornire in cambio una reale sicurezza.
Il richiamo alla paura del diverso, al bisogno di sicurezza, al capro espiatorio individuato nello “straniero” (e in ciò che è “differente”) si è unito al mito, alla narrazione infondata di una possibile età dell’oro, di una possibile “purezza” e integrità raggiungibile attraverso l’annientamento del “nemico”. Ecco che gli “episodi di razzismo”, che sempre possono accadere quando gruppi e persone diverse si incontrano, si sono trasformate in “situazione di razzismo”.
La discriminazione e l’odio sociale, praticati sulla base della differenza del colore della pelle e della provenienza culturale o religiosa, sono diventati parte di un’ideologia che mescola paura, avversione contro chi è differente, sogni di annientamento, aspirazioni a illusorie situazioni di sicurezza personale e sociale.
Le famiglie adottive e l’integrazione
In un clima del genere, la presenza e l’uso dei social media – da Twitter a Facebook, da Instagram ai media di massa online – svolgono un ruolo moltiplicatore. A moltiplicarsi sono sia i proclami ideologici dei teorici della paura, della discriminazione, del rifiuto dell’Alterità, del richiamo a una presunta integrità “di razza” o religione; sia le reazioni a questo clima di intolleranza e di sfiducia in un futuro di integrazione e di dialogo interculturale.
Sta a noi costruire la nuova “Ideologia” – intesa come sistema di valori e di idee – del dialogo interculturale da portarsi nella vita di tutti i giorni: sui luoghi di lavoro, sugli autobus, nelle piazze, negli incontri interpersonali. Sta a noi costruire, nelle piccole cose quotidiane e con il nostro lavoro, la nuova Ideologia della speranza, della fiducia nel futuro, della sicurezza autentica fatta di ascolto, integrazione e rispetto delle regole e della legalità. Sta a noi proclamare ed esercitare l’Ideologia della felicità, a cui tutti hanno diritti di aspirare.
In un quadro simile di valori, di idee, di fiducia possiamo innestare tante piccole pratiche quotidiane che – a partire da noi stessi – ci facciano testimoniare il diritto alla diversità, il diritto alla sicurezza personale e sociale, il rispetto verso l’Altro (a qualunque etnia, cultura, religione o parte politica appartenga). E il rifiuto della discriminazione, dell’odio, della caccia alle streghe e ai “diversi”.
Come genitori adottivi abbiamo l’opportunità di testimoniare che l’integrazione è possibile. Che l’incontro interculturale fra noi e lo “straniero”, fra noi e il “diverso” è un obiettivo a portata di mano. Non è certo un’operazione facile; ha i suoi aspetti problematici. Ma tutti noi siamo un problema, non solo l’essere straniero o l’essere diverso o l’essere adottivo. E tutti noi siamo una risorsa.
Dall’incontro fra diversità – e l’esperienza adottiva ne è una prova – è possibile arrivare, nella vita di tutti i giorni, a una situazione di “convivialità nella differenza”: dove l’impegno per un’esistenza più piena vince sulle paure strumentali, sui razzismi e sulle discriminazioni.
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