
E’ semplicemente un bambino – dicono
A volte sembra che mio figlio sia svogliato o pigro. Non ha pazienza, non sa perseverare o concentrarsi su un compito, si arrende ancora prima di incontrare le difficoltà e salta da un gioco all’altro in pochi secondi. Quando invece trova la motivazione, è accurato, paziente, tenace, rapido nell’apprendere e nell’eseguire. E’ come il giorno e la notte – Dr. Jekyll e Mr. Hide, dico io scherzando.
E’ estremamente sensibile agli stimoli: caldo, freddo, fame, sonno, gestione delle emozioni, frustrazioni e cambiamenti, sono tutte aree nelle quali fa molta fatica. Sembra una farfallina che svolazza senza sosta e senza pace, senza un centro di gravità e assorbita da tutto ciò che la circonda.
Il suo sistema nervoso si è sviluppato sulla base di stimolazioni non sane o in assenza di stimolazioni sane. Possiede una mente e un corpo principalmente modellati per la sopravvivenza: la separazione dai genitori di nascita, il terrore dell’essere solo, il non avere sicurezza di un abbraccio, di una coccola, di cibo sano, il non poter contare su qualcuno di affidabile e protettivo, il sentirsi sempre in pericolo, sono eventi che lasciano un segno. Il suo comportamento può sembrare un problema di svogliatezza, mancanza di impegno, rassegnazione, opposizione e menefreghismo. Ma non è così.
E’ semplicemente un bambino – dicono.
Conoscersi e mettere a fuoco
Ho cominciato a mettere a fuoco le difficoltà di mio figlio dopo circa un anno che eravamo insieme, quando lui aveva otto anni. All’inizio c’era stato lo sconvolgimento della sua nuova vita, la perdita dei suoi punti di riferimento, il dover imparare una nuova lingua, l’assestarsi su nuovi ritmi e limiti. E poi c’era il suo bagaglio di sfiducia, indipendenza emotiva, paura e bassa autostima: aveva bisogno di famiglia, di legami e di amore, non di diagnosi o terapie.
Con l’inizio della scuola, ho cominciato a pensare che avesse qualche difficoltà di apprendimento, ma mi sbagliavo. O meglio, la valutazione neuropsicologica aveva evidenziato alcune difficoltà, ma non quelle di apprendimento. Dire che mio figlio faceva fatica a stare a scuola, è un eufemismo. Scappava dalla classe, si rifiutava di fare tutto e mordeva chi cercava di contenerlo. A casa, per fare un compito di due minuti ci mettevamo un’ora, e tanta fatica emotiva, per entrambi.
La sindrome feto alcolica
Mio figlio è anche molto sveglio, intelligente, socievole, si fa voler bene, ha una memoria fotografica incredibile, immaginazione, creatività, parla con una grande proprietà di linguaggio. Non sembrava avere difficoltà tali da ricevere una certificazione di disabilità. Alcuni elementi della sua storia, però, mi facevano pensare che avrei dovuto approfondire la tematica della FAS. Quando l’ho fatto, ho trovato un’associazione di figli e genitori che mi ha accolta e fatta sentire a casa. Con i bambini affetti da sindrome feto alcolica o FASD, piccole cose hanno grande effetto, in positivo come in negativo. Hanno bisogno di calma, tanta calma, e poi regolarità, prevedibilità, ritmo, essere guidati nelle pratiche quotidiane, a casa e a scuola.
La difficile storia di mio figlio si è insinuata nel suo corpo, nella mente, l’ha stravolta, ristrutturando le connessioni nervose. Ma il sistema nervoso è plastico, in continua evoluzione, cambia in conseguenza delle esperienze che si fanno nel corso della vita, e nelle esperienze positive mio figlio si può specchiare, trovandosi bello, buono, bravo e degno di amore. Questo lo aiuterà a rimodellare il suo cervello, quindi le capacità cognitive ed emotive, il suo senso di Sé e il pensiero, le capacità motorie e prassiche, la motivazione e l’autostima. Lo aiuterà ad esprimere il suo potenziale ed essere felice.
Regolarità e legami
Come genitori abbiamo imparato che bisogna anticipare le sue necessità, sbagliare significa farlo andare in crisi, e dopo è tutto più difficile. Per questo, all’inizio mi sembrava di camminare sulle uova, con lui. Ero ipervigile, attenta ad ogni suo cambiamento, adesso mi è facile “leggerlo”. Per fare un esempio, non facevamo nessuna uscita la sera dopo cena, e solo giochi o attività rilassate dopo le 18. Poteva impegnarsi in poche e brevi attività ludiche, e anche le regole di casa erano poche e basilari. Erano pochi i cambiamenti nella routine che riusciva ad accettare senza agitarsi.
La regolarità estrema e il legame che abbiamo costruito sono stati guaritivi, le cose sono migliorate e ho capito che mio figlio riusciva a sostenere anche qualche cambio routine dell’ultimo minuto. Nel tempo l’ho visto diventare più sereno e più equilibrato, anche se, di contro, alcune sue caratteristiche stanno diventando più consistenti, più toste.
E’ un bambino affettuoso e allegro, che ama il contatto fisico e la socialità, sa chiedere scusa quando sbaglia, ma a tratti scontroso e distruttivo, manipolatorio e bugiardo, spesso inganna e nasconde. È impulsivo, incontrollabile quando si sente incapace, nonostante le rassicurazioni e il nostro aiuto, che spesso rifiuta. Nessuna di queste cose che racconto di lui (ma lui è molto di più di questo racconto) è di per sé patologica, semplicemente dipinge un quadro che parla di lui, della sua sofferenza e della sua forza, degli eventi della sua vita e di come si è adattato a crescere in condizioni non benefiche o costruttive del suo Sé.
C’è sempre qualcuno che dice che in fondo ci sono tanti bambini così.
Io non so. Penso che la difficoltà di mio figlio – che oggi è una disabilità in via di accertamento – è per una certa parte diretta conseguenza del consumo di alcol e tabacco da parte della mamma che gli ha dato la vita. Penso che lui sia diventato un piccolo guerriero che non sa più togliersi l’armatura, che non sa accogliere le sue fragilità, che non accetta gli errori, che non vuole perdere, che non sa (ancora) vivere bene con gli altri, perché non ha un saldo senso di sé, e crede di essere incapace – scemo, dice spesso di se stesso.
I bambini sono tutti semplicemente bambini. Alcuni hanno delle diagnosi o delle certificazioni, altri no. Ognuno ha pregi e qualità, luci e ombre. Alcune di queste ombre però sono più scure e più difficili da illuminare. Non serve farsene una malattia, ma serve averne consapevolezza e trovare la propria strada per fare luce nel buio. Semplificazioni e banalità non aiutano.
Una mamma
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