
Faccio parte di quella schiera di genitori che hanno adottato i loro figli quando l’adozione e la scuola erano due mondi a sé. Insieme a questi genitori ho visto, vissuto e partecipato all’ingresso dell’adozione nella scuola. Negli anni, insieme, abbiamo cercato di capire come guidare i nostri figli negli studi. Non sempre è stato facile. Non sempre è stato difficile. Spesso è stato complesso. Molte volte con risultati brillanti.
Seguire i figli negli studi
Seguire un figlio nello studio vuol dire costruire insieme, ogni giorno, i suoi percorsi di apprendimento attraversando tutti gli aspetti della sua vita, che non sempre procedono con gli stessi ritmi. “Tirare fuori”, valorizzare tutti i talenti, tutte le potenzialità dei figli sono compiti di ogni genitore. Per noi genitori adottivi questi compiti possono comportare anche altre modalità educative e formative rispetto ad un genitore non adottivo perché conosciamo i nostri figli dal momento dell’ingresso in famiglia e attraverso i ricordi che portano con sé, a volte incerti, a volte confusi o frammentati, a volte ben nitidi, a volte solo immaginati. Dipende dall’età.
Forse la parte più complessa per un genitore adottivo è quella di cercare di vedere il mondo con gli occhi, il cuore e la mente del figlio per coglierne, ogni giorno, ogni momento i progressi, perché costruiti su percorsi di vita e di apprendimento già in divenire. E, (anche) i nostri figli, hanno bisogno di “leggerezza”, di sperimentare la vita, di giocare e andare al cinema con i pari. Studi autorevoli ci dicono quanto sia importare l’imprinting, ovvero i primi stimoli della vita.
Conquistare una competenza quando si parla (anche) di scuola significa mettere insieme conoscenze ed esperienze pregresse, talento e potenzialità che si esprimono anche attraverso le emozioni come l’ansia della prestazione che, a loro volta, richiedono attenzione, concentrazione, energie. Ricordiamo che la madre è il primo mediatore con il mondo Ricordiamo che ogni atto di cura nei confronti di un bambino, di un figlio che vuole diventare “grande” è, dovrebbe essere, accompagnato da parole, da suoni, da affetto. E noi genitori adottivi sappiamo che nel cercare di ristabilire un legame primario con i nostri figli dobbiamo creare intorno una dimensione di serenità, di fiducia, di autorevolezza affinché tutto questo si traduca in forza e sicurezza interiore che favorisce (anche) il loro apprendimento. E per questo ci vuole tempo.
L’importanza della lingua madre
E, parlando di apprendimento, è importante ricordare gli studi che ci portano a capire quanto la lingua madre e l’ambiente in cui si cresce influiscano, tra l’altro, sulla costruzione della mente.
Quindi, il tempo, ancora di più diventa un elemento rilevante quando la lingua madre non è la stessa lingua dei genitori adottivi, soprattutto la complessità di questa “doppia lingua madre”, proprio perché attraverso la lingua si acquisiscono, non soltanto un imprinting linguistico fin dai primi mesi della vita, ma anche un linguaggio, una cultura. Esperienze raccontano che bambini e ragazzi adottati internazionalmente, entro la fascia pre-adolescenziale o nei primissimi anni dell’adolescenza, “dimenticano”, ovvero rimuovono la lingua madre, mentre se adottati durante l’adolescenza non dimenticano la lingua madre. Molti figli adottivi anche quando “dimenticano” la loro “prima” lingua madre, crescendo desiderano parlarla di nuovo, e quindi “riattivarla”.
I nostri figli, sia adottati “piccoli”, sia adottati “grandi”, imparano velocemente a comunicare con la “nuova” lingua per interagire con gli altri, sforzandosi in ogni modo di farsi capire tanta è la voglia di sentirsi parte di noi. Ovviamente, un bambino adottato “grande” ha gia acquisito anche altri strumenti, oltre a quelli non verbali e legati anche ai movimenti “del corpo”, alle espressioni, alle emozioni, per accompagnare la comunicazione. La relazione tra le parole, la formazione di una frase diventano, nel tempo, sempre più ampie e complesse, ma ricordando sempre la struttura e i suoni della “prima” lingua madre. Ecco, ancora una volta bisogna considerare il tempo, quello giusto per ognuno, per acquisire parole, quelle parole che “rivestono” i pensieri, quei pensieri che esprimono anche le emozioni. Parlare di lingua come strumento di apprendimento e di restituzione del sapere, con un linguaggio “fluido”sia nell’elaborazione scritta che orale invece, richiede tempo. Studi in merito, parlano di 6, 7 anni.
L’approccio allo studio
Se l’età dell’adozione ha una sua specifica importanza per (ri)costruire dei percorsi di apprendimento, (per molti aspetti aver frequentato la scuola prima dell’adozione potrebbe essere un vantaggio) esperienze di genitori di figli adottati internazionalmente raccontano quanto sia necessario tenere conto anche dei programmi, dell’approccio didattico e culturale dei Paesi dal quale provengono. In alcuni Paesi, si inizia ad andare a scuola a 7 anni, In alcuni Paesi, lo studio della matematica non ha lo stesso nostro metodo. Per esempio, non si studiano le tabelline a memoria, o il modo di sviluppare una semplice espressione non richiede la dimostrazione di tutti i passaggi. E, anche questo, richiede tempo per (ri)orientarsi, qui, nelle nostre scuole.
Allora, cosa significa imparare, preparare bene un compito, una verifica per un figlio adottivo?
Significa spesso complessità. Una complessità legata alla ricerca del proprio modo di apprendere, al dover richiamare tante conoscenze e competenze e ripassarne tutti i passaggi propedeutici quando ancora non ben sedimentati perché vengono studiati durante i primi anni dell’adozione, quelli più importanti e impegnativi per l’adattamento. Le informazioni da acquisire, richiamare, trattenere e organizzare riguardano non solo le nozioni ma anche la vita, le emozioni. E loro vogliono sperimentare la vita. Ore ed ore che sfuggono, che non sono mai abbastanza da dedicare allo studio, spesso sottratte ad altre attività e che possono generare una grande pressione esterna influendo moltissimo non soltanto sul loro modo di affrontare le prestazioni scolastiche ma anche sulle loro emozioni, sui loro percorsi di vita.
Cosa possiamo fare noi genitori?
Se la prima parte del giorno i nostri figli la trascorrono in classe, luogo privilegiato per relazionarsi e “misurarsi” con il mondo “fuori” dalla famiglia, il pomeriggio lo trascorrono a casa. Un tempo prezioso, per imparare, per vivere. E noi genitori ogni giorno siamo accanto a loro per ascoltarli, sostenerli, accompagnarli rispettando le loro scelte, i loro desideri, anche quando ci sono momenti difficili.
Potremmo paragonare l’apprendimento a una polifonia, dove ogni aspetto della vita e della mente corrispondono a una melodia differente che pur nella diversità riescono a suonare insieme perché trovano armonia tra loro. E i nostri figli, come ogni figlio adottato e non, per apprendere, per vivere “bene” (anche) nella “dimensione” dell’apprendimento, hanno bisogno di trovare la loro armonia. E per trovare armonia hanno bisogno di tempo.
Note
Bibliografia
Fabbro F., Il cervello bilingue Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, 1996
Liverta Sempio O. (a cura di), Vygotskij, Piaget, Bruner Concezione dello sviluppo, Raffaello Cortina, 1998
Montessori M., La mente del bambino, Mondadori, 1999
Galli I. (a cura di), L’inserimento scolastico dei minori stranieri adottati. Indagine nazionale sul fenomeno, Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, Istituto degli Innocenti, 2003
Istituto degli Innocenti di Firenze (a cura di), Viaggio nelle scuole. I sistemi scolastici nei Paesi di provenienza dei bambini adottati, collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, 2005
Newton Verrier N., La ferita primaria. Comprendere il bambino adottato, traduzione di A.G. Miliotti, Net, 2007.
Freddi Egidio, Acquisizione della lingua italiana e adozione internazionale Una prospettiva linguistica, Edito Università Ca’ Foscari di Venezia, 2015
Oliverio Ferraris A., Il cammino dell’adozione. Per costruire una nuova famiglia BUR Rizzoli 2011
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Daniela Pazienza, autrice del saggio Adottati e subito a scuola, con la collaborazione Caterina Stocchi e Anna Rita Zara, mamme adottive, e la prefazione di Margarita Soledad Assettati
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