
Dal vuoto dell’abbandono “Mi sta salvando mio figlio, che mi chiede di smettere di trovare madri ovunque e di diventare io madre di me stessa e, nello stesso tempo, madre sua”.
Il “vuoto” accompagna la mia vita
L’esperienza dell’abbandono, dell’adozione ha da sempre in qualche modo “intralciato” la mia vita, le mie scelte, la mia intimità, il rapporto con il mio corpo e con il mondo.
La necessità di dovermi in qualche modo “proteggere” dal vuoto e dalla fantasia delle origini hanno fortemente condizionato il mio carattere. Sin da piccola mi sono creata una grande bolla rosa, fragile e forte, dentro la quale potermi nascondermi. Fuori, mi sono quasi sempre mostrata solare e socievole, verbosa, creativa. Propositiva e progettuale. A tratti fortemente malinconica e assente.
Dentro dipingevo il mio mondo con colori ineffabili che convivevano con le tante, troppe, domande mozzate: le fantasie.
Il vuoto pulsante si trasformava di volta in volta in una macchina ingorda di esperienze, cibo, cultura… gravidanze agite e poi negate. Vuoto da riempire per avere l’illusione di aver piantato radici. Effimere. Vuoto finto da svuotare, vomitando esperienze, amori, cibo. Feti.
Illusioni.
Il vuoto si trasformava a tratti nella necessità di trasformare un corpo che non mi rappresentava, un corpo distante, un corpo sacrificio e punizione. Vuoto di maschere e maschere vuote, di cartapesta.
La dipendenza fortissima dei giudizi altrui, e prima di tutto dallo sguardo della mia madre adottiva, ha fatto spesso a pugni con una mia radicata, inespugnabile anarchia.
Mi ha salvato lo studio, la scrittura, il nuoto. Il desiderio di conoscere nuovi mondi e alfabeti.
Mi hanno salvato le fiabe e le illustrazioni. Solo a tratti.
Mi ha salvato anche aver ritrovato le mie radici, aver conosciuto la mia madre biologica, i miei fratelli e paradossalmente essermi poi legata ancora di più alla mia madre adottiva. Senza più dubbi né reticenze.
Mi ha commosso e continua a commuovermi ed arricchirmi, frequentare virtualmente e realmente altri adottati/e con i/le quali ci si sente sempre in una situazione intima e profonda, preziosa.
di me stessa e
L’aiuto di mio figlio nel ritrovare me stessa
Mi salva, da quando è nato, mio figlio che mi chiede di smettere di trovare madri ovunque e diventare madre di me stessa e madre sua.
Mi aiuta il suo sorriso, i suoi occhi e il suo abbraccio affamato d’amore. La nostra complicità.
Purtroppo la strada feroce della consapevolezza è lastricata e invasa da croci e ferite spesso dure da rimarginare. Percorsi lunghi di dolore e rabbie da buttar fuori, forse non sempre necessari. Troppo dolore non serve, diceva qualcuno.
Adesso desidero solo ritrovare la leggerezza e l’amor proprio, la voglia di rinascere da me stessa, come una “nuova schiuma di mare” capace di vincere i naufragi del passato.
Ramona Parenzan, nata a Bergamo il 6/08/1973, adottata a 22 mesi
Autrice di libri sulla multicuturalità e raccontastorie.
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