
Questo secondo articolo approfondisce le tematiche del fallimento adottivo, mettendo in evidenza il punto di vista degli operatori del settore mediante una ricerca qualitativa. Della stessa autrice leggi anche la prima parte: Il fallimento adottivo, un quadro generale.
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Fallimento adottivo e ricerca qualitativa
Il fallimento adottivo costituisce oggi un fenomeno poco studiato e difficile da definire e quantificare. Questo fatto e, in particolare la problematica concettuale sulla definizione di fallimento, può avere un impatto significativo anche sul lavoro degli operatori dell’adozione.Per questo motivo si è deciso di indagare, attraverso una ricerca qualitativa di carattere esplorativo, le rappresentazioni e le esperienze professionali degli operatori in merito al fallimento adottivo al fine di comprendere quali teorie e conoscenze guidano il loro lavoro e quali interventi concreti vengono attuati in queste situazioni.I soggetti della ricerca sono dieci operatori psicologi che lavorano attualmente nel campo dell’adozione a diversi livelli. È stata somministrata a ciascun operatore un’intervista semistrutturata sul tema del fallimento adottivo. L’intervista è stata costruita su sei aree tematiche: descrizione del fenomeno del fallimento adottivo, fattori di rischio, fattori protettivi, interventi di presa in carico della crisi adottiva, prevenzione e descrizione di un caso di fallimento adottivo eventualmente incontrato. Al termine dell’intervista è stato, inoltre, chiesto agli operatori se avessero ulteriori considerazioni da aggiungere, che non fossero state comprese nell’intervista.
Ogni intervista è stata registrata, trascritta integralmente e analizzata con metodo “carta e matita” attraverso l’utilizzo di una tabella a doppia entrata.
RISULTATI (Le parti virgolettate sono citazioni letterali delle interviste)
Dalle interviste emerge una grande varietà e ricchezza di risposte che, coerentemente con la complessità del fenomeno, mettono in luce aspetti diversi, ma complementari. I contenuti delle interviste sembrano confermare le acquisizioni della letteratura sul tema del fallimento e le problematiche relative alla definizione e alla quantificazione del fenomeno.
Descrizione del fallimento adottivo.
Per quanto riguarda la definizione di fallimento si evidenziano alcune differenze tra gli operatori: alcuni affermano che il fallimento coincide esclusivamente con la restituzione del bambino ai servizi di competenza, altri pongono l’accento esclusivamente sull’impossibilità di creare un legame genitoriale e filiale e di riconoscersi reciprocamente come genitori e figli, altri infine, comprendono entrambe le affermazioni precedenti sottolineando la possibilità sia di fallimenti conclamati (separazione del bambino dalla famiglia adottiva), sia di fallimenti “velati”, “relazionali” che non esitano necessariamente in una rottura.
Sull’entità del fenomeno tutti gli operatori concordano sul fatto che si tratta di un fenomeno raro, su cui mancano dati aggiornati. Rispetto ai tempi d’insorgenza della crisi, la maggioranza degli operatori concordano nell’individuare la fase più critica nella preadolescenza e adolescenza del figlio; si sottolinea, tuttavia, il fatto che i primi segnali di crisi possano comparire anche nelle prime fasi del percorso adottivo. Da ultimo, viene segnalato, come fase critica, anche l’inserimento scolastico del bambino.
Indicatori del fallimento adottivo
I primi indicatori della crisi segnalati sono principalmente a carico della coppia genitoriale e si possono raggruppare in tre ambiti:
– l’incapacità della coppia di mettersi in discussione e di assumersi le responsabilità nei confronti del figlio, rimandando le sue problematiche all’origine adottiva (“famiglie che si problematizzano poco”, “quando l’adulto non si lascia plasmare dalla genitorialità e rimane rigido”);
– la disfunzionalità di coppia (“i genitori cominciano da molto presto a non essere insieme a guardare il figlio, quando il figlio è prioritariamente della madre … quando il padre comincia a dissociarsi e davanti alla problematica figlio prendono due strade differenti”) ;
– la difficoltà di comprendere gli stati emotivi e il significato dei comportamenti dei figli e, dunque, di gestirne i problemi comportamentali;
Un ultimo aspetto segnalato riguarda la gestione delle differenze: “non riconoscimento dell’altro”,“non rispetto delle diversità”, “avere ancora in testa il bambino ideale che deve adattarsi”.
I fattori di rischio in relazione alla coppia
Relativamente alla coppia, il fattore di rischio maggiormente rilevato è l’isolamento della famiglia inteso come mancanza di una rete familiare e sociale e di un aggancio ai servizi.
In secondo luogo, si pone l’accento sulle aspettative ideali e irrealistiche attribuite, in parte, alla mancanza di una preparazione adeguata.
Da ultimo vengono segnalate diverse caratteristiche della coppia considerate a rischio: storie e caratteristiche personali dei coniugi (traumi, lutti non elaborati, non elaborazione della sterilità, rigidità), problematiche relative al legame di coppia e la presenza di motivazioni a rischio (“motivazioni filantropiche”, “adozione come sostituzione”, “adozione come risarcimento”, “disaccordo nella coppia sulla decisione di adottare”, “il fatto che non si avverta l’adozione come un’occasione per sé per crescere, ma come la realizzazione di un desiderio o, a volte, una pretesa rispetto al diventare genitori”).
I fattori di rischio in relazione al bambino
I fattori di rischio legati al bambino sono, in primo luogo, l’età elevata al momento dell’adozione, che è connessa al maggior rischio di essere stati esposti ad esperienze traumatiche e di aver interiorizzato modelli di funzionamento e di attaccamento problematici difficili da modificare. In secondo luogo una storia preadottiva caratterizzata da esperienze traumatiche, istituzionalizzazione e collocamenti multipli; i problemi comportamentali (“i bambini che traducono il loro malessere con comportamenti cioè quelli con scarsi strumenti di comunicazione verbale o altro e che quindi traducono il malessere con degli agiti”), tratti personali “fragili” e la presenza di più fratelli. Infine viene sottolineato l’impatto che ha la mancanza di un’esperienza precoce di relazione, la “solitudine” (“c’è proprio un rischio nei figli adottivi che loro vadano avanti a difendersi senza neanche farsi scoprire tanto, a difendersi dalle relazioni e si concepiscono soli, quando sono piccoli e, ancor più, quando sono grandi”).
Rispetto ai fattori di rischio, viene anche segnalato il fatto che non sia un singolo fattore a causare il fallimento, bensì l’interazione di diversi fattori che coinvolgono i diversi soggetti.
Fattori di protezione dal fallimento adottivo
Su questo punto il contenuto delle interviste risulta molto eterogeneo: ciascun operatore sottolinea aspetti diversi che, tuttavia, non sembrano in contrasto e che coprono le diverse tematiche messe in luce anche dalla letteratura.
I fattori protettivi che ricorrono in più interviste sono:
– la solidità di coppia
– l’importanza di riconoscere ed elaborare questioni personali irrisolte (“due adulti molto consapevoli che in gioco c’è se stessi e non solo il bambino”)
– la disponibilità a formarsi
– la presenza di una rete familiare e sociale
– l’apertura comunicativa, intesa come la possibilità un dialogo aperto sulla storia adottiva all’interno della famiglia e sulle emozioni ad essa connesse (“penso che quello centrale è accogliere la storia del bambino, parlare dell’adozione, della storia … che il bambino senta di poter condividere quella parte di sé”).
– la capacità dei genitori di essere una “base sicura” per il bambino (“che i genitori abbiano sufficiente capacità per favorire un attaccamento sicuro”, “sintonizzazione sulla vita affettiva ed emotiva del bambino, sui suoi bisogni”).
– la capacità di accettare e gestire le differenze (“un bambino fa meno fatica ad appartenere quando ha uno spazio adeguato, quando la sua differenza viene valorizzata, quando quello che deve cambiare non è solo lui, ma è un po’ tutto il gruppo”).
– il fatto che il bambino abbia potuto avere esperienza di relazioni positive prima dell’adozione.
Emerge, infine, la valenza protettiva fondamentale del contesto sociale inteso sia come rete amicale, appartenenza a gruppi e associazioni, che come aggancio con i servizi territoriali. Viene sottolineato, in particolare, il ruolo della scuola nell’accoglienza del bambino adottivo e nel supporto ai genitori e l’importanza di avere contatti con altre famiglie adottive e di poter condividere con altri le stesse esperienze.
Prevenzione
Rispetto alla prevenzione, emerge l’importanza di offrire alle famiglie interventi specialistici di formazione e di sostegno, assieme ad un supporto sociale dato dalla conoscenza con altre famiglie adottive attraverso associazioni familiari e interventi di gruppo.
Descrizione di un caso conosciuto
Nella descrizione dei casi gli operatori sembrano attribuire le problematiche che portano al fallimento principalmente alla coppia genitoriale: rigidità, difficoltà ad accettare e tollerare le differenze tra il figlio ideale e il figlio reale, difficoltà di comprendere gli stati emotivi e il significato dei comportamenti dei figli, latitanza di un genitore.
In secondo luogo viene sottolineato l’impatto delle esperienze traumatiche subite precedentemente dal bambino e, da ultimo, la mancanza di un’efficace collaborazione e intervento dei servizi.
Temi emergenti
I temi emergenti sono diversi e riguardano molti aspetti quali: l’importanza della figura paterna nella creazione del legame adottivo, la crescente complessità delle adozioni, una riflessione sull’opportunità di dare in adozione bambini molto grandi preadolescenti o adolescenti. Vi sono, tuttavia, tre tematiche che ricorrono in più interviste e che trovano conferma anche nella letteratura.
La prima riguarda la valenza positiva dell’adozione nel promuovere la genitorialità e il recupero del bambino (“noi crediamo che l’adozione sia di per sé una terapia, una forma di recupero potentissima”, “io credo che ci sia una grande attività promozionale nell’adozione, la promozione dei legami che c’è nell’adozione non c’è in nessun’altra forma di genitorialità naturale. Io non ho mai visto persone, futuri genitori, così coinvolti, così impegnati nel progetto genitoriale come quelli adottivi”).
In secondo luogo si sottolinea l’importanza che gli operatori abbiano una competenza specifica sull’adozione.
Infine viene rilevato il fatto che le famiglie si rivolgono ai servizi quando è troppo tardi, il problema è cronicizzato ed è difficile trovare una soluzione (“purtroppo le famiglie arrivano, a volte, quando i problemi sono un po’ cronicizzati, quindi diventa un po’ difficile intervenire, a volte non riusciamo ad aiutarli molto perché il problema è già avanti”).
Marta Zaro
Laureata in psicologia presso l’Università Cattolica di Milano. Prosegue la sua formazione specifica sull’adozione e l’affido con il master di II livello “Il lavoro clinico e sociale con le famiglie accoglienti: affido e adozione”.
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