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05 Luglio, 2021

Il viaggio verso l’adozione di nostro figlio a Kiev

Il primo incontro con il proprio figlio, un momento che non si dimenticherà mai: le emozioni, le ansie, le sorprese, i timori, la felicità immensa di poter coronare, dopo tanti anni di attesa, il proprio sogno.
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Il viaggio verso l’adozione

12 ore di treno, viaggio di notte. Un treno stile anni ’50… forse. Le cuccette sono piccole e piccolo è lo spazio vivibile, in compenso il treno viaggia lentamente, ma si sobbalza continuamente come se sui binari ci fossero delle buche. Impossibile stare in piedi senza soffrire il mal di mare.

KIEV-DONETSK. Arriviamo alle 7.40 con qualche minuto di ritardo….scendiamo, distrutti per non aver dormito e per l’ansia dell’incontro che ci aspetta; un’ansia mai provata perché carica di paura e allo stesso tempo di aspettative. Per affrontare tutto questo ci siamo vestiti nel modo più comodo possibile… dobbiamo sentirci a nostro agio sempre.

Fuori dalla stazione ci aspetta un taxi. Un caffè veloce in un locale aperto 24 ore, un attimo di sosta che serve più al nostro accompagnatore che a noi. Noi non vediamo l’ora di essere a fine giornata per sapere come sono andate le cose e quindi la pausa non fa che fermare il tempo, ma almeno ci siamo lavati il viso decentemente. Ho fatto l’errore di guardarmi allo specchio e mi sono detta che forse l’assistente sociale capirà che questo viso non è proprio il mio, ma porta i segni  delle  condizioni in cui abbiamo fatto il viaggio. Stranamente ho gli occhi gonfi e pure un occhio particolarmente irritato e gonfio come se lo avessi sfregato con qualcosa che ha generato una qualche allergia, ma io non soffro di allergie. Pure le mestruazioni mi sono venute in treno, abbondantemente in anticipo. Mi sento disfatta. Mio marito Alessio non è da meno, ma io mi sento proprio brutta. Abbiamo sonno, siamo stanchi e ci trasciniamo per gli uffici per le pratiche.

L’istituto e gli operatori che ci accompagnano verso di te

L’incontro con l’assistente sociale è molto informale e ci  dà coraggio. Una vera babuska, ma con gli occhi dolci e i modi di fare che mettono a proprio agio. Ci chiede informazioni su di noi e rispondiamo molto semplicemente. E’ sorridente. Una vera mamma accogliente, ci sentiamo ben voluti e tutto ci pare tranquillo. In macchina verso l’orfanotrofio l’ansia che sentivo alla stazione è calata perchè finalmente non c’è più nulla d’aspettare… abbiamo aspettato abbastanza a Kiev, dove siamo stati più di un mese prima di avere il terzo appuntamento e l’abbinamento con Andrea.

Finalmente  arriviamo. L’Istituto. L’atrio decorato e pulito, ci accoglie. Velocemente passiamo nella stanza della direttrice, anche lei molto solare, sorridente e accogliente. Una bella stanza piena di luci e tappeti quella della direttrice, con un grande divano sul quale ci chiedono di sedere. Lasciamo i giocattoli per Andrea e le caramelle e i cioccolatini per i bambini della sua classe, nella stanza attigua, anche quella con divani, insieme ai nostri giubbotti. Nell’ansia il mio maglione diventa sempre più grande, come se mi volessi nascondere dentro. Alessio suda, ha caldo, stenta un sorriso stampato. La bionda direttrice, molto truccata e con abbigliamento curato seduta alla sua scrivania, davanti a lei siede l’assistente sociale, più in là la maestra della classe, accanto a noi  il nostro referente e interprete.

La direttrice ci chiede qualche informazione e di nuovo ci presentiamo come abbiamo fatto davanti all’assistente sociale, nello stesso momento chiede anche al nostro referente informazioni relative alla nostra vita e al decreto. Noi continuiamo ad aspettare l’arrivo di Andrea.

Tutto questo parlare non mi crea nessun disagio, perchè mi sento in un ambiente che mi pare positivo, è come se un’energia positiva si sia diffusa nella stanza e nonostante mi senta comunque brutta e puzzolente, ho la sensazione che queste donne che ho davanti mi capiscano perfettamente. Intanto aspetto.

Il primo incontro con nostro figlio

Poi arriva, come dal nulla. Appare sulla porta accompagnato da una sua maestra. Non penso. Solo emozioni. Dico subito ad Alessio che è uguale alla foto che abbiamo visto al dipartimento. Sorridiamo, sorridiamo….

Lui sorride, la direttrice gli parla. Va verso di lei, poi gli faccio il gesto con la mano di venire verso di noi e lui viene. E’  venuto! Lo faccio sedere nel mezzo fra me e Ale e lo abbraccio. Andrea suda, il calore passa dalla giacca troppo grande che indossa come divisa della scuola, ma i suoi vestiti non mi interessano. Io trattengo le lacrime. Sento il suo calore. Il corpicino piccolo, la testa tonda, le gote morbide. Tutto mi sembra inaspettato. Sono proprio qui con Ale? Siamo proprio qui e stiamo accanto a questo bimbo caldo ed emozionato come noi, che trema un po’ e che ci chiede, guardando verso il pavimento, come ci chiamiamo. Nelle nostre risposte, con il sorriso stampato sul volto, la voce è rotta dall’emozione. Sento il suo calore, continuo ad abbracciarlo e lui è accanto a noi. Papà Alessio guarda Andrea con il volto di un bambino piccolo di fronte a una novità che non capisce, non conosce e ha paura, ma allo stesso tempo col desiderio stampato negli occhi di conoscere questa novità.

Come si comporta un bambino quando conosce i genitori: i baci e gli abbracci di Andrea 

Ci dà un bacio, uno a me e uno a Ale. Un bacio a mamma e uno a papà. Lo tengo abbracciato e ricambio con più baci. Papà sente ancora un po’ di paura, paura di essere abbandonato da Andrea. E’ più accorto. Io non sento paura, non sento l’assistente sociale, non sento la direttrice, non sento sonno né stanchezza, i gesti dell’abbraccio, dei baci, dello stare a sedere sul  tappeto con lui,  sono istintivi. Ma so che Andrea potrebbe rifiutarli. In quei momenti non senti, agisci solo con l’istinto e non puoi comandare niente. Sai i pericoli ma lì, quando sei per la prima volta davanti a tuo figlio, il tuo corpo è proteso verso quel bambino che sta lì per conoscerti.

Poi mi alzo, allungo la mano in modo che lui capisca che può darmi la mano e venire con me. Lo fa e andiamo a prendere i regali nell’altra stanza. Lo fa! Mi pare tutto straordinario, tutto impossibile. Sta accadendo. Tutto sta accadendo in modo naturale. Prende le due buste con i regali e le porta nella stanza con la direttrice; alla vista della macchina con radiocomando i suoi occhi esplodono di gioia. Lo stesso accade per i dolci. Ci bacia e abbraccia e così, come se nessuno ci stesse guardando e giudicando, giochiamo con lui sul bellissimo tappeto della direttrice. Così, senza che ce ne accorgessimo, passiamo un’ora in quella stanza con la maestra, l’assistente sociale e la direttrice che parlano fra loro, chiedono ad Andrea e Andrea risponde, gioca con noi e ci abbraccia.

I bambini dell’istituto, come relazionarsi

Abbiamo anche dovuto sbrigare pratiche e burocrazie. Ci bacia, abbraccia e ci saluta. Non sa che sicuramente torneremo nel pomeriggio. Pranzo, notaio, di nuovo assistente sociale, fotocopie, firme, carte… poi… Il pomeriggio siamo tornati ancora. Due occhi pieni di gioia ci hanno accolto, due gote morbide hanno chiesto i nostri baci. Abbiamo giocato con lui e con i bambini della sua classe, un bel casino! E’ partito il pizzicorino, ci facciamo il solletico e tutti i bambini partecipano. Tutti vogliono il contatto fisico. Per quanto bello sia essere coinvolti con gli altri suoi amici, gli amici sono comunque bambini dell’orfanotrofio soli e desiderosi di coccole e di momenti di vero affetto.

Non sai  molto bene come comportarti in questi momenti. Le emozioni sono così forti che vorresti non trovarti lì, ma in qualsiasi altro luogo dove poter controllare quello che senti, dove ti puoi chiedere quello che devi fare. Nell’orfanotrofio, in mezzo ai bambini, non hai tempo di pensare e cerchi di agire nella maniera che ti sembra più positiva. Non c’è modo di essere tranquilli né di gestire i sentimenti. I bambini sono tutti uguali e tutti vorresti portarli via. Ma solo uno fra loro è tuo figlio e lui desidera che i genitori siano suoi e lo dice agli altri bambini.

La famiglia che nasce tra mille domande

Siamo più tranquilli con Andrea in un’altra stanza, che poi è diventata la stanza dei nostri incontri, dei giochi e degli scambi affettuosi fra babbo, mamma e bambino. Non una stanza per gli incontri, ma una stanzetta piccola del reparto infermeria, con un piccolo divano e un piccolo tavolo. Uno spazio dov’è impossibile giocare, ma in cui noi troviamo il modo di giocare ugualmente.

I primi scambi affettuosi ti sembrano impossibili. Abbraccia proprio me? Bacia proprio me? E’ proprio me che chiama Mamma, Babbo? Mi chiamerà così anche domani? E domani mi bacerà ancora con tanto affetto?

Non ci aspettavamo tanto affetto, voglia di coccole. Ci eravamo preparati al peggio, eravamo preparati al fatto che i bimbi più grandi, visto che Andrea ha compiuto 8 anni due giorni dopo il nostro arrivo, avessero bisogno di più tempo per conoscerti e avvicinarsi a te.

Lui chiede i baci, gli abbracci, sta volentieri seduto sulle gambe. Ci siamo resi conto soprattutto dal giorno dopo, che la nostra presenza è più importante dei giochi che facciamo insieme.

Ma all’inizio, mi sembrava impossibile che lui fosse così affettuoso e aperto con noi. I suoi occhi si riempiono di gioia quando ci vede all’orfanotrofio. Ma è vero, ci siamo chiesti? Io e Ale ci siamo fatti spesso le solite domande per darci delle certezze, per rendere vero quello che stiamo vivendo. La sera, a letto, non ci siamo addormentati, ma semplicemente siamo collassati come se avessimo ingerito una dose massiccia di calmanti. Siamo stati fortunati, nostro figlio ci ha voluti da subito.

Valeria Vannini

Leggi la seconda parte: i ricordi dell’istituto


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