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18 Settembre, 2022

La consapevolezza di essere adottata

La caparbia ricerca delle origini porta Monica all'incontro con la madre biologica in età adulta
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ricerca delle origini

Monica Bresciano, ora una donna matura, è vissuta con l’adozione.

Poco più che ventenne – in  un periodo storico in cui vigeva la cultura dell’interruzione dei legami con i genitori biologici e l’adozione manteneva a livello sociale una dimensione di segretezza  – ha intrapreso il viaggio della ricerca delle origini  e ha perseguito questo obiettivo senza tregua.

Ha cercato la madre biologica. Ha raccolto dati e indizi, poi consapevole di quanto il viaggio psicologico fosse più complesso di quello fisico, ha atteso anni prima di incontrarla. Infine ha cercato un rapporto con lei. 

Si è ritrovata a gestire la relazione con due madri, quella adottiva e quella biologica. Il senso di colpa ha  pervaso profondamente le loro relazioni, in particolare la sua relazione con la madre adottiva e la relazione della madre biologica con lei.

Il matrimonio e i figli si sono intrecciati con la sua vicenda adottiva.

Dopo aver reperito, attraverso l’estratto dell’atto di nascita, il nome della madre biologica  ha continuato le  ricerche  per ricostruire ogni tassello della sua vita.

Si sente in questo racconto il risalire il fiume fino alla sorgente, per continuare il viaggio della vita con tutto il fardello.

Il desiderio di ricercare le mie origini è cresciuto con gli anni a partire dall’adolescenza, quando il mio bisogno di riconoscermi fisicamente nei componenti della mia famiglia è diventato sempre più forte. In realtà con mio padre ho sempre avuto una somiglianza, che però in quel tempo non mi bastava più, ora quella somiglianza mi scalda il cuore. Non ho un ricordo particolare legato a quegli anni, ma ho nitida la spinta che intorno ai vent’anni ha mosso i primi passi.

La ricerca delle mie radici è stata la mia compagna di viaggio con la quale ho condiviso molto tempo. Era con me quando camminavo per strada e cercavo in volti sconosciuti qualcuno che potesse somigliarmi, era con me quando spegnevo le candeline e mi domandavo se quel giorno in qualche parte del mondo qualcuno mi stesse pensando; non  mi mancava nulla ma in quel momento mi mancava tutto, era con me quando non riuscivo a controllare la mia rabbia, quando mi rannicchiavo sul pavimento e piangevo senza motivo come se una strana malinconia mi invadesse il cuore, era con me anche il giorno in cui mi sono sposata e mi sono illusa che chi mi ha dato la vita potesse essere tra la gente.

Il desiderio, la paura e la colpa

Ho conosciuto il nome della mia mamma biologica all’età di 22 anni, in un momento di grande conflitto con la mia mamma di cuore e forse è stato proprio quel momentaneo allontanamento da lei che mi ha autorizzata a muovere fisicamente i miei passi alleggerendomi dal senso di colpa, che bloccava ogni possibile pensiero in merito alle mie ricerche.

Ho sempre avvertito una grande difficoltà da parte della mia mamma adottiva nell’affrontare temi riguardanti le mie radici, forse per un discorso di cultura che censurava le relazioni prima dell’adozione ponendo la stessa in un casellario di argomenti da toccare il meno possibile, ma soprattutto per il suo essere possessiva ai limiti della tolleranza che precludeva qualsiasi possibilità di approccio con le mie origini.

I miei sensi di colpa nascevano da un continuo conflitto interiore nel quale era sempre la paura a prendere il sopravvento sui desideri di ritrovare le mie radici. Era la paura di non essere abbastanza riconoscente nei confronti dei miei genitori e di sminuire tutto ciò che loro avevano fatto per me. Nel pensare a me stessa e ai miei desideri avevo sempre la sensazione di attuare una sorta di tradimento che potesse arrecare dolore soprattutto a mia madre e che fosse poi causa di giudizio pressante e di una diminuzione di amore nei miei confronti. 

La mia mamma di cuore nutriva i miei sensi di colpa quando, soprattutto negli scontri più violenti, professava la mia ingratitudine nel non essere, secondo lei, capace di apprezzare tutto quello che mi veniva dato e di non essere grata per essere stata “salvata” e aver avuto la fortuna di trovare una famiglia. 

Ho impiegato anni per riuscire a ripulire il mio cuore da colpe che non avevo liberandomi per sempre da quei sensi di colpa così profondi e devastanti.

Essendo stata riconosciuta alla nascita, una volta acquisito l’estratto dell’atto di nascita, non ho trovato alcun ostacolo nel reperire i dati sensibili riguardanti la mia mamma biologica.

Quel documento ha acceso in me l’impazienza e la frenesia di sapere di più, ma le porte che mi ero illusa di poter trovare aperte in realtà erano tutte serrate; la vita mi ha intimato di fermarmi. Non era ancora il tempo per me di sapere di più.

Sono passati altri tre anni prima di avere informazioni più dettagliate e poter così intraprendere il cammino per un eventuale incontro con la mia mamma biologica. Avevo tutto ciò che mi sarebbe servito per andare da lei, ma in quel momento mi mancava un elemento fondamentale: il coraggio.

Avevo tra le mani un indirizzo e un numero di telefono che mi avrebbero permesso di compiere il breve viaggio fisico che mi separava da lei, ma quello emotivo era diventato lunghissimo e insostenibile. In quei tre anni trascorsi ad aspettare avevo a poco a poco abbandonato un po’ della mia sventatezza lasciando il posto alla consapevolezza che non tutto avrebbe potuto essere come l’avevo sognato e avevo ponderato seriamente la possibilità di un nuovo rifiuto che ha alimentato le mie paure riportandomi nuovamente nel profondo dei miei sensi di colpa nei confronti dei miei genitori adottivi, ma soprattutto di mia madre che ha sempre avuto nei miei confronti un attaccamento eccessivo. 

L’attesa, e poi “…. come una ruspa sono entrata nel suo cuore”

Da quell’indirizzo  sono passati tredici lunghi anni nei quali sono diventata a mia volta madre. Con questo ruolo mi sono costruita una nuova identità che mi ha dato modo di guardare la vita da più prospettive, aggiungendo altre consapevolezze che mi hanno permesso di compiere il grande salto. Negli anni di attesa il numero di telefono avuto insieme a quell’indirizzo è stato il ponte che ha unito due voci: la mia con quella della mia mamma biologica, alla quale saltuariamente telefonavo fingendo di aver sbagliato numero. È stato per me come una sorta di allenamento, un modo per prepararmi ad un futuro incontro dipingendo nel cuore, che ogni volta mi scappava dal petto, una figura immaginaria associata a quel suono.

Proprio quella voce è stata il primo varco d’accesso dentro la vita della mia mamma biologica immediatamente prima di incontrarla.

Ero pronta a qualsiasi reazione, anche ad una possibile chiusura, ero consapevole del mio sano egoismo di quel momento che mi portava a far irruzione nella sua vita senza preavviso, sapevo di entrare come una ruspa dentro il suo cuore, ma non potevo più fare diversamente, ormai era diventata un’ossessione a cui dovevo porre fine, non mi importava come.

L’incontro. Le risposte a tante domande. Le emozioni, il dolore e le colpe. 

Ho incontrato la mia mamma biologica il 13 maggio 2004, giorno in cui avevo pianificato ogni cosa ritagliandomi un tempo tutto per me, consapevole che avrei potuto anche fare un buco nell’acqua. Avevo messo in conto tutto, ma un possibile rifiuto quel giorno bruciava più che mai.

Lei era a casa e, dopo un ultimo contatto telefonico, questa volta senza sotterfugi, ho potuto incontrare mia madre.

In quel momento decadeva definitivamente anche la mia grande paura di non trovarla più in vita.

Speravo di riconoscermi in lei, desideravo mi raccontasse ciò che era accaduto, volevo sapere perché aveva scelto di non tenermi con sé.

Dopo il primo momento di rigidità soprattutto da parte mia, per la consapevole volontà di mantenere il controllo delle mie emozioni, tutto ha trovato una giusta dimensione e il nostro primo incontro è stato assolutamente piacevole e costruttivo.

Nei suoi racconti è emerso chiaro il bisogno di rimarcare il suo errore, la sua scelta non voluta ma necessaria. I sentimenti di amore e compassione che provavo per lei in quel momento si sommavano ai pensieri privi di pregiudizi che avevo cullato negli anni. Ero appagata anche se forse volevo di più, volevo ancora rivederla.

Guardarmi allo specchio e ricondurre la mia immagine a quella della mia mamma biologica è stata l’onda più violenta che è arrivata dopo il nostro primo incontro, essendo il nostro aspetto fisico denso di somiglianze, ma passato questo inevitabile momento di profondi turbamenti, tutto è stato un incessante susseguirsi di emozioni bellissime. Un tempo meraviglioso di innamoramento che si è protratto per più di due anni, nei quali abbiamo imparato, a poco a poco a conoscerci. C’è voluta una grande apertura da entrambe le parti che ci ha permesso di entrare nel profondo delle nostre vite. Con lei sono tornata per la prima volta davanti all’ingresso dell’istituto che mi ha accolta per due anni prima dell’adozione condividendo un’emozione fortissima che ho scolpita nel cuore.

La difficoltà di quella frequentazione era la distanza e la necessità di mantenere il segreto del nostro incontro. La più grande preoccupazione che mi accompagnava nei viaggi verso la mia mamma biologica era quella di essere scoperta dalla mia mamma adottiva che, ovviamente, non era a conoscenza dei miei passi compiuti in assoluta solitudine; vivevo quelle trasferte come un tradimento, lo stesso che aveva sempre alimentato i miei sensi di colpa e, nella gioia di quel tempo nuovo, una sorta di ansia mi affaticava il cuore.

Dall’altra parte la mia mamma biologica proteggeva i suoi segreti presentandomi al mondo come una nipote, un grado di parentela che ho retto per molto tempo ma che, a poco a poco, è diventato sempre più insopportabile.

Monica Bresciano

Scopri come evolve il percorso di Monica nel successivo articolo

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