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05 Settembre, 2021

La cura per le parole

Come si dice ai propri genitori adottivi che si ha intenzione di fare la ricerca delle origini? Ogni famiglia, adottiva o non, ha dinamiche che la rendono unica.
ItaliaAdozioni
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Come si dice ai propri genitori adottivi che si ha intenzione di fare la ricerca delle origini? Questa è una domanda complessa per cui neanche Google riesce a suggerire risposte utili.

Esistono risposte inutili dunque? Non le definirei così, ma sicuramente esistono risposte e consigli che non sono per tutti.

Ogni famiglia, adottiva o non, ha un proprio linguaggio, una sua comunicazione e dinamiche che la rendono unica.

Nell’universo dell’adozione, che è ricco di storie differenti, emozioni che spesso possono essere in conflitto, gioie e sfide di ogni portata, due cose sono fondamentali: l’ascolto e la sospensione del giudizio.

Ecco dunque che coloro che lavorano con le famiglie adottive, con le coppie che scelgono di intraprendere l’iter o direttamente le stesse persone coinvolte, siano queste genitori o figli, dovrebbero avere cura per le parole e modulare la comunicazione in base all’interlocutore.

Vale per l’adozione ma è un invito applicabile a molti altri contesti di relazione.

Cosa significa ascolto in una famiglia adottiva?

L’atto di ascoltare innanzitutto prevede più protagonisti: qualcuno che parla, scrive, disegna e si esprime nella forma che sente più sua, e dall’altra parte qualcuno, uno o più, che, appunto ascolta.

Ascolta, accoglie, accetta e, dopo aver rielaborato, restituisce una risposta.

L’apertura al dialogo e al confronto sono importanti in ogni relazione, ma quando si tratta di ascolto, è ancor più doveroso in una famiglia adottiva liberarsi di preconcetti e giudizi.

I motivi per cui si lascia un figlio, una figlia o più figli sono tanti, drammatici, legati ad un contesto difficile e in una società che può non riuscire ad aiutare in varie situazioni.

Queste ragioni molto spesso sono sconosciute e allora è facile volare con la fantasia, per dare un senso ad un distacco difficile da elaborare.

Ci sono le storie che si raccontano i figli e quelle che scelgono i genitori adottivi, che purtroppo in alcune famiglie influenzano le prime.

La mamma biologica non è quella vera, di cuore, senza cuore, l’altra o la madre cattiva.

Chissà perché dei padri si parla sempre così poco. Con la madre esiste un discorso di reciprocità certo, ma anche la figura paterna non può e non deve essere tralasciata.

Essere genitori è una scoperta continua, a prescindere dalla condivisione o meno dei geni, ma nella vita di ciascuno di noi possono esserci più persone che rappresentano figure genitoriali.

I genitori adottivi non devono sentirsi in competizione con la famiglia biologica, non esiste concorrenza.

Alimentare questa paura, usando i termini sopracitati o riferendosi ai genitori biologici dei propri figli con parole  e storie che hanno rimandi ad un’accezione chiaramente negativa, anche se velata, rischia di avere come conseguenza una chiusura.

Come poter limitare una chiusura comunicativa?

Solitudine, rabbia, sfiducia, rancore, ricerca di altri con cui potersi confrontare sono potenziali conseguenze di una chiusura comunicativa.

Spesso i genitori adottivi evitano di parlare con il figlio/a e/o figli dei genitori biologici, oppure corrono il rischio di parlarne facendo trasparire loro idee poco lusinghiere su queste figure.

Come scritto in precedenza, non sussiste e non va alimentata la concorrenza tra famiglia adottiva e quella biologica.

Al contrario, per andare verso un’apertura e alimentare la fiducia, si dovrebbe parlare della famiglia di origine, rispettando i tempi e le fasi che attraversa la persona adottata.

La soluzione per eliminare, non voler vedere o fare i paragoni non è fingere che non esista una storia che precede l’incontro con il proprio figlio/a, ma riconoscerla.

Riconoscere, raccontare, anche valorizzare, la madre ed il padre biologici è importante, per tutti i soggetti della triade adottiva.

In casi di adozione internazionale è fondamentale anche cercare, per quanto possibile, coltivare l’amore per le radici ed il paese natale della persona.

Da persona adottata, il mio invito

In chiusura, il mio invito è  a prestare attenzione alle parole che scegliete di usare, alla rappresentazione della famiglia di origine che trasmettete.

Il modo in cui vivete la genitorialità adottiva può dire molto più di voi che dei vostri figli, ma ha un impatto anche su di loro.

Sono stata adottata quando avevo quasi tre anni.

Sono Italiana, ma le mie origini non le ho dimenticate anche grazie alla mia famiglia, che ha trovato il modo per coltivare in casa l’interesse per l’India.

I miei genitori mi hanno ascoltata, sempre, e hanno saputo accompagnarmi durante la crescita, le fasi alterne, accettando ogni mia emozione e quando ho comunicato loro il mio desiderio di fare la ricerca delle origini, non si sono spaventati e non si sono sentiti messi in discussione.

L’adozione nel mio libro

La ricerca delle origini può avvenire e non tradursi esclusivamente in un viaggio, in una ricerca di una o più persone.

Ci sono tante e svariate forme per avvicinarsi all’inizio della propria storia.

Del momento in cui ho raccontato ai miei genitori che l’avrei intrapresa, della loro reazione e di come ci sente, a volte, ad avere una nazionalità che non rispecchia i propri tratti somatici, ne parlo nel mio libro L’agrodolce ricordo dei colori.

Ho scelto di scrivere parte della mia storia, perché credo sia importante arricchire la cultura dell’adozione con le voci di chi l’adozione l’ha vissuta in prima persona.

Dei genitori si dice molto, emergono poco le voci dei figli. Il mio augurio è che nel dialogo su questo tema possa esserci spazio anche per noi.

Sachita Corvi

Attualmente L’agrodolce ricordo dei colori è in campagna crowdfunding sul sito della casa editrice Bookabook ed è disponibile per i preordini (cartaceo e/o ebook).


Leggi anche: Adulti adottati. La ricerca delle origini e il mio posto nel mondo

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