
Doppia appartenenza: cultura di origine e cultura della nuova famiglia in Italia
L’adolescenza è di per sé un’età difficile. La letteratura scientifica potrebbe ampiamente spiegare questo fenomeno. L’esperienza diretta di molti genitori è sufficiente a raccontare fatiche, discussioni, preoccupazioni che hanno caratterizzato il loro rapporto con i propri figli. I bambini adottati non sono esenti dall’attraversare questa fase ed in questi casi la questione diventa ancora più scottante. Confusi spesso per immigrati extracomunitari sono costretti a ripercorrere emotivamente la loro adozione. Non si tratta in questo caso di riaffrontare la ferita dell’abbandono, ma piuttosto comprendere il “a chi appartengo?”, “a quale cultura?”. Non si tratta solo di conoscere la proprie origini, ma di riconoscere se stessi e la propria cultura di appartenenza: “quella della mia terra d’origine o quella della mia famiglia adottiva?”
Nasce la consapevolezza di una doppia appartenenza: questa potrà essere vissuta come conflittuale o come realtà possibile. Il costrutto della “Bicultural Identity Integration”-BII (Benet-Martinez & Haritatos, 2005), utilizzato con persone immigrate e ad oggi non ancora testato con i figli adottivi, stabilisce se due appartenenze culturali differenti siano percepite come compatibili od opposte, vicine o lontane.
Qualora le due culture venissero percepite come opposte o conflittuali il ragazzo vivrebbe una tensione fra le due, che avrebbe una forte ripercussione nella sua capacità di costruzione di una identità integrata e coerente, generando forti conflitti ulteriori.
La storia personale e il ruolo della famiglia adottiva
Le relazioni familiari sono da sempre un fattore di buon adattamento e di benessere psicosociale. Mohanty, Koeske, & Sales (2007) hanno condotto una ricerca su questo aspetto, focalizzandosi sul senso di appartenenza del minore con la sua famiglia d’origine, rilevando che esso appare essere un buon indicatore per la valutazione del benessere psicosociale.
Studi più recenti condotti dall’Università Cattolica di Milano (Ferrari L., Rosnati R., Manzi C. Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia) hanno condotto su questi presupposti una ricerca che ha visto confermare questi due orientamenti clinici. Un buon adattamento psicosociale è stato valutato come la risultanza della percezione di non conflittualità e non lontananza tra la cultura d’origine e quella adottiva, e non tanto con la sola identificazione con il gruppo culturale d’origine. Non si tratta solo di riscoprire le origini e la propria cultura, ma il mettere quest’ultima in una relazione integrata e coerente con quella attuale.
Una valutazione ulteriore, mirante a stabilire il benessere più che la presenza di difficoltà comportamentali/emotive, ha dato riscontro a questo assunto teorico: una buona integrazione biculturale e una buona filiazione adottiva sono fattori determinanti per una buon adattamento e benessere psicosociale in adolescenza e nella giovane età adulta. La famiglia, in qualsiasi forma e identità, è primariamente un contenitore emotivo nel quale il bambino si riconosce non tanto somaticamente, quanto psicologicamente. Come sostenere allora le famiglie nel compito, a volte dato per scontato, di accogliere i propri figli a partire dalle indicazioni che ci sono state date da queste ricerche?
Integrazione e famiglia allargata
Forse sarebbe tempo per tutti coloro che sono coinvolti in questo “viaggio” di pensare che sia opportuno coinvolgere il più possibile nel percorso verso l’adozione nonni e zii, amici, e parenti in genere, al fine di attivare un primo processo di integrazione. Ancora più importante sarebbe sostenere i futuri genitori nel far comprende a chi sta loro vicino il senso e il significato di accogliere un bambino abbandonato-adottato in quanto per gli altri spesso questo mondo è sconosciuto., Inoltre è sempre più tempo di accompagnare le coppie a conoscere il paese d’origine del proprio figlio prima dell’adozione, per continuare poi insieme a lui attraverso esperienze comuni.
E infine: non sarebbe il caso di rivalutare che le questioni tecniche che indirizzano una coppia verso un determinato Paese non debbano più essere le sole motivazioni per la scelta della destinazione, ma debbano essere integrate da una valutazione della propensione della coppia nel scegliere un Paese od un altro, in modo che loro per primi si riconoscano nella cultura del loro figlio in arrivo?
Andrea Redaelli
Psicologo e Psicoterapeuta
0 commenti