
Dalla sterilità a una poesia
Nel progetto di formare una famiglia che io e Andrea, mio marito, abbiamo, ci mettiamo in gioco, ci siamo confrontati e ci confrontiamo con varie difficoltà, sperimentiamo momenti preziosi, di coppia e individuali: uno è sicuramente quello che ho deciso di celebrare nella poesia “Virando”.
In queste brevi righe parlerò usando il “noi”, ma anche dicendo “io”: il percorso verso la genitorialità è condiviso, ma, contemporaneamente, porta a confrontarsi individualmente con i suoi molteplici risvolti.
Dopo due tentativi di fecondazione assistita non riusciti abbiamo deciso di fermarci, abbiamo scelto di non avere fretta.
Fragilissima e dolorante: così mi sentivo, fisicamente ed emotivamente; ho avuto bisogno di scendere dalla ruota e prendermi il mio tempo, senza preoccuparmi di ricompormi subito e forzosamente.
Io e Andrea siamo stati al mare, abbiamo camminato sulla spiaggia, abbiamo vissuto, insieme e con naturalezza, il momento del dolore. Da qui – ne sono certa – è partito tutto: questa condivisione di coppia mi ha avvolto, dandomi la serenità e lo spazio necessari per entrare dentro di me e confrontarmi, come donna, con il mio limite biologico. Mi sono resa conto che pensarlo come un qualcosa di estraneo, un nemico, mi avrebbe portato a vivere una feroce guerra interiore: una lotta in cui avrei potuto bruciare tutta la mia energia, corrodermi dentro, avvelenarmi. E quindi, ho voluto altro. Ho scelto l’amore per me stessa, scelto di accettare il limite, di accoglierlo e metabolizzarlo. Renderlo profondamente parte di me. È stata un’autentica e benefica liberazione, mi ha riempito i polmoni di aria fresca e mi ha fatto tornare a guardare “fuori”. A riaprire gli occhi sul mondo.
Dedico la mia poesia “Virando” a tutte le donne che, come me, hanno sperimentato, o stanno ora sperimentando, il dolore viscerale della sterilità biologica: accogliendo questo dolore, possiamo spalancare il nostro orizzonte.
Possiamo percepirci interamente, senza confinarci al nostro apparato riproduttivo, sentendoci donne feconde e ricche di energie genitoriali da esprimere in molti, moltissimi modi. Magari scoprendo – come è accaduto a noi, come è accaduto a me – la meraviglia del mondo dell’adozione.
Virando
Cerco di imparare guardando Luana,
spolverata di stelle,
che per ogni dolore
sa moltiplicare la vita.
E allora ci provo,
mi slaccio:
la speranza di perdere il punto vita
e guardarlo sformarsi, per nove mesi,
fino a esplodere,
la lascio andare;
la accendo
e la libero:
si fa lanterna,
guadagna altitudine –
io la ammiro da giù,
rinsaldata alla mia colonna vertebrale.
È questo, il momento;
è questo il dolore
da cui moltiplicare la vita –
vero, Luana?
E quindi mi procuro
un ago a cruna grossa e un filo spesso:
e di sogni, inizio a cucirne altri.
Il mio punto vita non si è mosso
di un centimetro;
ma intanto io,
incredibilmente,
sto virando.
E sento, dentro,
aprirsi le ossa,
estendersi i legamenti,
spalancarsi il bacino
e fare spazio, tutti gli organi,
compresi quelli malconci:
anche lo stomaco infiammato
e la colecisti, col suo carico di sabbia biliare,
nella loro sapienza, fanno posto.
Posto per la figlia o il figlio
che, conformemente alla legge 184 del 1983,
mi arriverà dal mondo,
e che al mondo,
gradualmente,
restituirò.
Chiara Nobilia
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