
Le mille e una verità
Ho sempre vissuto in contesti misti di figli adottivi e di figli biologici. Sono figlia adottiva, ho un fratello anch’egli adottato e un fratello figlio naturale dei miei genitori. Io stessa ho costruito una famiglia caratterizzata da legami adottivi e biologici: ho un figlio naturale e una figlia adottata dall’India, come me. Tra i miei amici e conoscenti ci sono persone adottate, genitori, nonni e zii adottivi. All’interno di questa cerchia di relazioni, ho potuto raccogliere tante verità e punti di vista sull’adozione, perché le esperienze adottive non sono tutte uguali, a volte si diversificano a tal punto da polarizzarsi, ma tutte hanno in comune un antico stigma, quello di non generare una vera famiglia.
Gli incontri che scandiscono l’esistenza
Quando ripercorriamo a ritroso la nostra biografia, non abbiamo difficoltà a distinguere quali incontri sono stati fondamentali e quali deleteri. Una nuova conoscenza può cambiare in meglio la nostra vita, ma anche traumatizzarla, lasciando ferite pesanti. In questo caso, resta un senso di colpa, ci domandiamo se avremmo potuto fare qualcosa per scansare quell’incontro, se siamo corresponsabili dell’impatto negativo che una persona ha avuto su di noi.
È complicato trovare una risposta rasserenante. A volte le persone ce le scegliamo, andando a braccia aperte verso il rischio, un po’ inconsapevolmente. Altre volte gli incontri sono casuali o involontari come quelli che ci capitano alla nascita, la famiglia naturale. Qui è la biologia a farla da padrone, ogni esistenza non è infatti la conseguenza della scelta operata dal suo proprietario.
I legami di sangue
Il primo ambiente di cui facciamo esperienza appena veniamo al mondo è la famiglia. Ci troviamo inseriti in automatico in un contesto umano dove andremo a costruire le prime relazioni affettive e si formeranno i legami più stretti, quelli indissolubili che non potremo cambiare mai, perché genitori, fratelli, nonni, cugini rimangono tali a vita, e anche in seguito: nella nostra cultura, i legami di sangue vanno oltre la morte del corpo, cioè non possono essere spezzati o rinnegati, pena il biasimo altrui.
La famiglia è il luogo privilegiato per fare l’esperienza dell’amore, nido sicuro per antonomasia, dove il senso di sicurezza passa attraverso l’affinità biologica che garantisce accudimento e protezione. Ogni bambino conta sul fatto che la famiglia provvederà ai suoi bisogni e lo aiuterà come nessun altro mai potrebbe farlo. Ma, a volte, l’alone di normalità che nell’immaginario collettivo avvolge la famiglia, cela al suo interno insidie e forme di violenza impensabili: il focolare domestico può infatti rivelarsi un luogo di distruzione degli affetti e dell’autostima di chi dovrebbe proteggere. Non è un caso che proprio tra i familiari i conflitti si manifestino più intensi, in virtù dell’affinità biologica che produce aspettative elevate. Quando queste vengono disattese, la delusione è cocente e difficilmente sanabile.
La storia narra di dinastie secolari i cui consanguinei si sono scagliati gli uni contro gli altri, incuranti del legame creato dalla comunanza biologica, perfino arrivando a uccidersi per motivi di gelosia e sete di potere. Nonostante questi numerosi precedenti, ancora oggi nel pensiero comune i legami di sangue vengono prima di tutto e l’idea della genitorialità per concepimento è preponderante. Quando manca l’appartenenza biologica sembra difficile sentirsi veramente famiglia. Insomma, la famiglia è sempre la famiglia, il sangue del tuo sangue, è la sola a garantire il “vero amore”, e dalla famiglia si ritorna quando si è in difficoltà, anche se ci si odia a morte, perché chi è legato geneticamente a noi in fondo ci vuole bene. D’altra parte, è innegabile che nella nostra società difficilmente ci si preoccupa di persone al di fuori del proprio nucleo familiare e, malgrado i contrasti, la famiglia costituisce il gruppo di supporto.
Le affinità elettive
Idealmente, l’essere umano trova nei parenti i suoi sostenitori naturali, eppure famiglia non significa condividere soltanto il DNA, ma affetti, emozioni e tempo di quantità e di qualità. In mancanza di ciò, o a suo completamento, tendiamo a soddisfare questi bisogni altrove. E così, nel corso della vita, ci capita di incontrare persone nei confronti delle quali ci muove un’affinità elettiva che si sottrae a qualunque spiegazione logica: sentiamo di avere qualcosa o molto da condividere con individui appena conosciuti, qualcosa che ha una reciproca importanza e non dipende dalla parentela.
Ci sono persone al di fuori della cerchia dei congiunti, che si aprono a noi per istinto, ci invitano nella loro vita, ci fanno dono di amicizia e affetto, e di un sostegno incondizionato. Instauriamo con questi estranei una sintonia repentina che investe l’anima, ci fa sentire connessi nel modo di pensare e agire, scopriamo una comunanza di interessi e di gusti. Queste persone sono gli amici, quelli che a volte ci conoscono nell’intimità, e molto più in profondità rispetto ai familiari.
I legami adottivi
Oltre alla famiglia biologica, esiste quindi una famiglia esterna che si sceglie e arricchisce in modi più gratificanti. E poi ci sono gli incontri generati dall’adozione. Tuttora di difficile collocazione nel cuore e nella mente delle persone, suscitano timori e perplessità, danno luogo a considerazioni di tipo più razionale e sono soggetti a regole e norme asettiche, perfino a forzature. Si pensi al desiderio inconscio dei genitori di assimilare il legame adottivo con i figli al legame biologico, all’inserimento repentino dei minori abbandonati nelle famiglie adottive nel momento della conoscenza, all’impossibilità legale per l’adottato di conoscere le proprie origini prima del compimento dei 25 anni.
Per quanto circondati da un alone di romanticismo, gli incontri determinati dall’adozione non sono casuali o connotati dal destino. A monte c’è sempre una scelta operata da altri: il cosiddetto abbinamento basato su criteri più o meno discutibili. Le parti interessate, famiglia e bambino, non hanno voce in capitolo in questa valutazione.
La famiglia adottiva porta tuttora lo stigma di “meno vera”, perché un figlio è generalmente inteso come proprietà biologica. Ancora sento dire: “io non adotterei mai perché il bambino deve essere mio.” E non è un caso che l’adozione, in passato l’unica alternativa possibile per rimediare all’infertilità, sia stata di recente declassata, tant’è che vi si ricorre dopo che altre vie di accesso alla genitorialità di tipo medico, non hanno funzionato.
I figli adottivi stessi assorbono questi condizionamenti culturali e, quando si attiva in loro il desiderio di scoprire le loro radici, di solito nell’adolescenza, mettono in discussione l’appartenenza alla famiglia adottiva e il valore di tale rapporto: “Finalmente torno a casa mia”, ho sentito dire da alcuni adottati in riferimento al viaggio verso le origini. Nei genitori adottivi si innesca allora il timore di aver fallito, di essere disconosciuti da quei figli cresciuti amorevolmente, una forma di insicurezza influenzata dal medesimo retaggio culturale che condiziona i figli: la base “debole” sulla quale si è costituita la famiglia adottiva, cioè l’assenza del legame di sangue.
Come fare per rendere l’adozione socialmente accettabile, tanto quanto lo sono la genitorialità biologica e la filiazione naturale?
Riconoscendo che esiste un “terzo modo di incontrarsi” altrettanto valido, dove le parti non capitano subito insieme, né si scelgono o si attraggono, ma si incontrano in seguito, costruendo l’affinità giorno per giorno. E tutto ciò può essere possibile insegnando la corretta interpretazione del legame adottivo e continuando a diffondere la cultura dell’adozione.
Alessandra Pritie Maria Barzaghi
Le verità dei figli adottivi. Luci e ombre dell’adozione internazionale, A. P. M. Barzaghi, Scatole Parlanti Editore, 2022
Premio Letterario Nazionale e Internazionale 2022 “Vinceremo le malattie gravi”, patrocinato da Regione Lombardia, Comune di Como, OMCeO di Milano, OMCeO di Como e Istituto Maestre Pie dell’Addolorata di Bologna.
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