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29 Settembre, 2020

Lettera alla luce

vincitrice di “Lettera alla luce”, Festival delle Lettere ed. 2017
ItaliaAdozioni
insieme a favore di una migliore cultura dell'Adozione e dell'Affido

Dalla collaborazione tra il Festival delle lettere e ItaliaAdozioni abbiamo raccolto nel tempo scritti meravigliosi che raccontano l’Adozione in ogni sua sfaccettatura. Alcune lettere sono raccolte nel nostro libro Cara Adozione ed altre sono state pubblicate sul nostro sito nel tempo.

Tac.

La luce si è accesa.

Dopo nove mesi durante i quali filtrava soltanto attraverso la pelle tesa della sua pancia. Sempre  più tesa, la pancia, la mente, e la mia vita, pronta a scoccare come freccia di un arco puntato. Minacciosa.

La luce finalmente. Eppure ho pianto, lacerando l’aria dell’Annunziata, sovrastando le voci bambine, i toni forti di infermieri e i bisbigli delle suore. Troppo abbagliante questo mondo, preferivo là dentro, mi cullavo nell’acqua, sentivo odori, sapori, litanie. Poi mi prendesti in braccio e mi desti il tuo seno. Cominciai ad amare quel raggio di sole che attraversava il finestrone e ci veniva addosso, formando un cerchio per noi due. Sole

Grazie.

Tac.

La luce si è spenta.

Lei se ne è andata. Io non lo so ancora, ma è per sempre. L’avessi saputo mi sarei fissata i suoi lineamenti, le avrei fatto un ritratto con i miei pensieri. Per ricordarmela e sapere che faccia avrei avuto, da grande. Qui è diventato tutto buio, neanche questo io so, che il buio è la morte. Ma una parte di me lo sente e non reagisce, sono paralizzata, se potessi pensare mi direi: che mi succederà adesso?

Tac.

La luce si è accesa,ma è fioca, appena quello che mi basta per sopravvivere, nell’odore forte di stalla, di fieno, e di galline. Succhio un altro seno, scontroso e indaffarato. Una bambina se lo contende con me. Lei vince. E’ naturale, l’altra è sua figlia, la figlia della balia. Io figlia lo sono stata per pochi giorni, appena il tempo di credere che il mondo fosse  morbido e rotondo, caldo e con un buon sapore.

Tac.

Anche la luce fioca si è spenta. Questo non me l’aspettavo. Se avessi saputo pensare avrei detto – perché proprio a me, che ho fatto? E mi sarei risposta: sono stata cattiva.­-

La balia mi ha mandato via: pochi soldi uguale niente carezze, neanche finte. Bisogna rivedere i prezzi, mica ci potete sfruttare. Lavoriamo per voi, ci teniamo i vostri orfani, mentre vorremmo curarci dei nostri figli.

Tac.

Ecco, si riaccende.

E’ buona questa balia vecchia e senza latte, è troppo povera per questionare sulla paga e  si accontenta. Forse, visto che non è per i soldi, ha imparato  anche a volermi un po’ di bene. Ogni giorno risplende di più. Si fa strada tra i rami della campagna di Veroli il mio secondo sole. Pasquale, che è grande, mi tiene in braccio, e tanti anni dopo me lo racconterà.

Tac.

Il buio assoluto

Perché siete venuti a prendermi? Perché mi avete tirato il ciuccio e ci avete rimproverate che quante volte l’abbiamo detto niente vizi, niente ciuccio, niente. Che se poi ci si abituano e  lo pretendono – ne abbiamo centinaia, cara Maria, lei lo sa?-  Maria si gira verso il muro, per non far vedere che piange.

Dove mi portate adesso che il buio sta diventando più buio e si trasforma in panico, quello che non mi lascerà mai più, anche quando scriverò a Cara Adozione, con l’alogena sulla scrivania. Sono piccola io, non ce la posso fare tra tutte queste interruzioni di corrente, lasciate che mi  trascini via una corrente vera, meglio la fine  piuttosto di  tutti  questi tac all’improvviso. Fu allora che cominciai a desiderarla, la  morte, e quel desiderio mi si appiccicò addosso e disse: ti accompagnerò per tutta la vita, mi chiamo Angoscia.

Tac.

Ehi, piano! Gli occhi non sono abituati.

Troppo sorriso, troppi abbracci, troppi giocattoli, troppa luce.

Certo che è bello, ma cercate di capirmi, voi due,  non ci sono abituata. Perché dovrei credere che è vero e che dura? Perché dovrei lasciare la mia  mano nella vostra e  chiamarvi mamma e  papà? Io lo so che poi ne arriva un altro, di tac. Questa volta non mi imbrogliate.

Se faccio i capricci voi spegnerete la luce, lo so. Ed io strillo, piango, batto i piedi. No. No. No. Vi sfido. Vedo già la tua mano sull’interruttore del sole. Sei pronta a spegnerlo, mamma, non ce la fai più. Del resto perché dovresti? Non sono buona, non sono bella, non sono tranquilla, non sono nemmeno tua figlia.

Accidenti mamma, ho perso! ti sei solo arrabbiata, ma la luce c’è ancora, e anche tu, ci sei ancora.  Sempre insieme noi tre, litigiosi, impauriti, stanchi, orgogliosi, stretti fortissimo nello stesso cerchio luminoso.Sarebbe bello non avercelo dentro ancora il buio, come   una cortina che non può far passare i raggi. E sentirmi in colpa quando mi dite fortunata, perché mi vorreste felice, ed io non riesco a farmi passare il nero. E la mia canzone preferita, tra vent’anni, sarà Paint it Black.

Scusatemi. Mi siete vicini senza capire, ma come potreste se non ci riesco neanche io, che sono la diretta interessata?

A volte  la linea curva che accoglie il nostro abbraccio mi ricorda qualcosa di estremo e lontano, e allora le lacrime scendono senza avvertirmi, per un dolore refrattario a qualsiasi balsamo, un dolore puro, intero, senza sconti, infinito, invasivo, totale. Ma non so quale contorni avesse, perché la foto non l’ho fatta.

Non  ne ebbi il tempo.

Tac.

Emilia Rosati

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