
L’importanza delle parole per una migliore cultura dell’Adozione fin da piccoli
“ Ma è vero che ti hanno comprata? ”
Mi si è gelato il sangue nelle vene, i capelli rizzati in testa, gli occhi sbarrati e la mascella caduta come quella del genio della lampada di Aladdin.
A fare questa domanda a mia figlia – che ha 4 anni ed è entrata nella nostra famiglia quando aveva solo 1 mese grazie all’adozione nazionale – è stato un bambino di 5 anni.
Mia figlia è una bimba timida e abbastanza introversa, e grazie a Dio ero presente quando questa domanda agghiacciante, se pur in modo candidissimo e innocente, le è stata posta: lei non è riuscita a rispondere nulla, sicuramente perché per lei questa domanda non aveva alcun senso, non sapeva cosa rispondere.
“Ovvio che no” intervengo io “Ti sembra che un bambino possa essere comprato?”
Ma lui mi ignora, e sempre rivolgendosi a mia figlia continua “ Ma quindi tu i genitori ce li avevi?”
Svengo. Non fisicamente, ma internamente, giuro, mi sento svenire. Sicuramente arrossisco – di rabbia eh, intendiamoci – e se a fare le domande fosse stato un adulto probabilmente lo avrei preso a calci nel sedere (sempre metaforici, chiaro. Forse.), gli avrei tirato un bicchiere di acqua in faccia, lo avrei scosso fino a fargli tornare le rotelle al loro posto.
Mia figlia mi guarda, interdetta. E tace.
“Certo, i suoi GENITORI SIAMO NOI” . Bambino.
Secca. Decisa. Al momento sono fiera di me. Ho detto le parole giuste, al momento giusto, con la voce ferma e determinata.
Dentro volevo morire. Ok era “solo” un bambino. Ma nostra figlia agli occhi di quel bambino aveva qualcosa di assurdamente strano: i genitori che l’avevano messa al mondo non erano lì, con lei. Ce ne erano degli altri, e per quanto questi potessero essere fantastici e meravigliosi, non erano quelli che l’avevano fatta nascere.
Vedere la potenza di questa affermazione nei suoi occhi, e lo smarrimento che ne generava, mi ha colpita al petto, allo stomaco, mi ha fatta rabbrividire nelle fondamenta, mi ha sgretolata e poi mi sono ricomposta solo sentendo la manina di mia figlia entrare nella mia.
Nascere famiglia
Certo che è così, è l’origine della nostra storia, è quello che ha permesso la nostra storia, è grazie a questo fatto che siamo nati come famiglia. Ma non è che ci penso quotidianamente. Nostra figlia è nostra figlia, punto e basta. La nostra storia è questa, i conti con i suoi genitori biologici me li faccio da sola, ce li facciamo a casa… o almeno è stato così, fino a quelle domande.
Il racconto della nostra storia fa parte dei racconti della buonanotte, è in ogni fotografia che guardiamo, è nelle nostre parole dolci che, da sempre, hanno accompagnato la crescita di nostra figlia. Giorni e giorni a provare cosa dire, come dirlo, come raccontare. Ore passate a cercare le parole giuste per raccontare senza ferire, mesi di “potremmo dire così” “si ma non usiamo questa parola, mi sembra brutta” “ genitori biologici o genitori naturali?” “facciamole vedere le fotografie, forse raccontano meglio di tante parole”.
Gettati al vento in 5 minuti, grazie a 2 domande poste senza alcuna attenzione per le parole.
Alla durezza e allo stesso tempo l’innocenza di quelle domande forse non eravamo ancora pronte. Anzi, forse non lo ero io, perché lei, con quella disarmante consapevolezza che hanno i bambini, la sera, prima di andare a nanna, mi ha detto “Mamma, io ti amo!”
Ho pianto. Ho pianto pensando a tutte quelle volte in cui noi non ci saremo e mia figlia dovrà affrontare queste domande da sola. Ho pianto chiedendomi se saremo in grado di darle gli strumenti per rispondere e per non essere ferita, domandandomi se l’Amore sarà abbastanza forte da sovrastare l’abbandono, se la vita sarà così gentile con lei da farle incontrare persone capaci di essere delicate, di vivere con lei la sua storia senza farle venire dubbi, paure, incertezze.
Necessaria una migliore cultura dell’adozione
Era “solo” un bambino, ma dietro a un bambino ci sono dei genitori, e questi genitori “forse” hanno toppato qualcosa nel raccontare il significato dell’adozione alla loro biologica prole.
E’ evidente che la cultura dell’adozione in chi non ha mai vissuto questa esperienza, direttamente o grazie a persone loro vicine, sia praticamente assente e insegnare a usare le “parole giuste” non è facile per chi la vive sulla propria pelle, figuriamoci per chi ne è totalmente estraneo.
Ma penso che tanta sofferenza potrebbe essere evitata nei nostri figli se gli adulti si fermassero a pensare prima di parlare, prima di spiegare ai loro figli, prima di chiedere. Se si informassero, se si confrontassero con genitori adottivi, se l’adozione venisse raccontata nelle scuole, se si desse il giusto peso alle parole… Noi possiamo dare tutti gli strumenti possibili ai nostri figli, ma a volte il mondo può essere impietoso. E può anche avere gli occhi innocenti di un bambino.
Paola Moschini
Scopri anche la lettera di Elena racchiusa nel libro Cara Adozione
Anch’io mamma adottiva, vero certe parole fanno male specie se messe in bocca ai bambini dagli adulti. Anche mio figlio adottato che aveva 15 gg. È piuttosto schivo a parlare con gli estranei della sua storia e lo rispetto, però io non mi sono mai sentita unica per lui anche se so di esserlo.Alla sua domanda:” in un certo senso io ho due mamme, tu e l’altra mamma quella che mi ha fatto nascere?”… io gli ho detto “si, lei ti ha dato la vita ed io ti aiuto a crescere”… ovviamente questi sono discorsi tra me e lui!!!…. quindi mi sono sempre sentita serena nell’affrontare anche la gente che manca di sensibilità!!!