
Incontro tra origini – Intervista a Jaya Mary Guazzo – Parte I
Questa intervista nasce dal desiderio di conoscere nel profondo dei suoi pensieri una persona incontrata solamente attraverso i social media. Jaya tre anni fa carica un video sulla storia di un’adozione, la sua. Ascoltandola mi appassiono e la seguo negli anni, fino a che racconta del piccolo raggio di sole che cresce dentro di lei, Julian.
L’idea di un dialogo
Da questa notizia nasce l’idea di un dialogo, per confrontarci sull’essere donna, sull’essere stata adottata, sull’essere madre e figlia.
I. Quali parole ti rappresentano come donna?
Come donna la tematica per me fondamentale è quella dell’empowerment, che promuovo e supporto anche attraverso i miei canali social. Credo molto nel potere delle donne, nella loro emancipazione, nel supportarsi a vicenda. Un’altra parola che è stata uno dei fili conduttori nella mia vita è l’ambizione: anche nei periodi più difficili mi ha spinto ad oltrepassare i miei limiti e a cercare di raggiungere ciò che volevo per me. Come terza parola scelgo challenge, ossia sfida, proprio perché essere donna non è mai facile, soprattutto in ambito lavorativo, e la sfida può aiutarti a non farti fermare dagli stereotipi o dai pregiudizi delle persone.
II. Quali parole ti rappresentano come mamma? Quale significato ha per te esserlo diventata?
Ancora non ho molta esperienza come madre, anche se mi piace sempre sottolineare che genitori lo si diventa sin da quando si ha il desiderio di esserlo. Sicuramente già dalla gravidanza una parola che mi caratterizza è “emotiva”: sento che mio figlio sarà sempre il mio tallone d’Achille, il mio punto debole, nel senso che nei suoi confronti provo quell’emotività potente, quel volerlo proteggere, che solo con i figli si sente appieno.
Come seconda parola scelgo “responsabile”, perché nonostante io lo sia sempre stata lo sono diventata ancora di più da quando sono incinta: diventando genitore ti rendi conto che non sei più solo responsabile per te stesso. Diventare genitori è una sfida e come donna-madre so che cercherò e vorrò mantenere quelli che sono il mio lavoro e i miei interessi, per contenere in Jaya sia la parte materna sia la parte donna: non vorrò far mancare niente a mio figlio, ma nemmeno far mancare niente a me. Il mio compito sarà creare un equilibrio nuovo insieme a mio marito, a nostro figlio e al nostro cagnolino, modificato a seconda di esigenze e bisogni nuovi che si vengono a creare nella crescita della famiglia. Quello di cui sono certa è che non sarò mai una madre assente, perché ho vissuto una bellissima infanzia e ho tanti ricordi delle giornate passate con i miei genitori che non vedo l’ora di replicare insieme a mio figlio; allo stesso tempo non sarò un capo assente, perché tramite la mia azienda costruisco il mio futuro e quello della mia famiglia. Ci tengo a sottolineare che non serve sentirsi madri per essere realizzate come donne, ma questo era un desiderio mio e di mio marito, quindi aspettare nostro figlio rappresenta il coronamento di questo nostro sogno.
Come madre di un maschietto sento di avere una grande responsabilità: voglio che diventi un uomo forte e buono, con rispetto per le donne e per il loro ruolo nella società. Vorrei dare a mio figlio un’idea chiara di womenpower, perché cresca con un esempio di donna forte e multitasking, che può essere sia madre sia imprenditrice allo stesso tempo, senza peccare in nessun ruolo. La mia speranza è che possa vedere e vivere il futuro con mente e cuore aperti.
III. Un tuo pensiero sulla transizione da figlia adottiva a madre biologica
Preferisco non distinguere attraverso gli aggettivi “adottiva” e “biologica” perché per me esistono solo figli e genitori, senza la necessità di sottolineare alcuna differenza. Questo mi ha perseguitato durante la mia infanzia, quando ho sofferto di razzismo e bullismo a scuola.
Il mondo della famiglia e anche quello dell’adozione nello specifico é un mondo costruito in primis su emozioni, e dovrebbe essere vissuto prima con il cuore che con il cervello, nel rispetto sia dei bambini sia dei genitori che hanno in comune un bisogno di amore, di dare e di donare affetto.
Parlando di adozione si può dire che si è figli due volte, ma a mio parere poi si diventa figli dell’ambiente in cui si cresce: considero genitore chi ti cresce e non chi ti ha dato la vita. Diventare genitore può essere facile, ma esserlo davvero vuol dire dare un sistema di valori e di educazione al proprio figlio e avere delle responsabilità altre dal solo metterlo al mondo.
Io sono stata, sono e sarò sempre figlia dei miei genitori e sto per dare alla luce il loro nipotino, come qualsiasi altra persona. C’è una cosa che vivo in modo diverso rispetto alle altre madri forse proprio per il fatto di essere stata adottata. Sento la necessità di vivere questo percorso in modo molto unito ai miei genitori perché loro, pur essendo genitori a tutti gli effetti, non hanno vissuto questa parte: la gravidanza, i calcetti, la pancia che cresce, etc. Ho condiviso con mia mamma tutte le gioie di questo periodo, le ho fatto toccare la pancia e sentire il bambino, perché se lo merita: mi ha fatto crescere in un modo fantastico e volevo farle vivere questa cosa. Mi sarebbe piaciuto condividere con lei, oltre che con mio marito, anche l’esperienza del parto, ma purtroppo per via della pandemia dovrò rinunciare.
IV. Tuo figlio è un altro pezzettino di quel filo rosso che trattiene in sé la storia indiana e la storia italiana della te bambina. Come immagini il vostro primo incontro?
Ci sono moltissimi fili intrecciati nella nostra famiglia, è molto internazionale. Vivendo in Austria abbiamo amici provenienti da tutto il mondo, quindi il piccolo nascerà in un contesto cosmopolita. Di sicuro uno dei fili più importanti è quello dell’adozione che sembra quasi chiudere un cerchio: i miei genitori mi hanno adottato, io a breve darò alla luce il mio bambino, il loro nipote e il cerchio si chiuderà perfettamente.
Rispetto al parto ho provato ad immaginarlo per mesi, creandomi aspettative e fantasticando sul bimbo e su di noi insieme: sono molto emotiva e sono sicura che al nostro primo incontro piangerò molto perché sarà uno dei momenti più felici della mia vita, come per ogni mamma, adottiva o non adottiva che sia. Mi immagino spesso come sarà fisicamente e caratterialmente e le emozioni crescono sempre di più: il pianto sarà liberatorio, perché se ne andranno tutte le paure legate al non averlo ancora tra le braccia e inizierà la nostra nuova vita.
V. Come vorresti spiegare a tuo figlio cosa significa adozione? E cosa significa essere un bambino e poi un adulto adottato?
Lo spiegherei nel modo più naturale possibile, come fecero i miei genitori con me. Per mia esperienza tutto è cominciato da un tema da scrivere alle elementari, in cui la maestra chiedeva di descrivere il giorno della propria nascita. Io sono rimasta con il foglio vuoto, senza sapere cosa scrivere e ho chiesto alla maestra di poterlo svolgere a casa, con i miei genitori.
Spero che attualmente vi siano molte più risorse, competenze e sensibilità nelle scuole, in modo da accogliere la molteplicità di famiglie diverse che oggigiorno caratterizzano la nostra realtà; quando ero piccola l’adozione non era così comune e queste tematiche erano ancora poco affrontate. Quel tema alla fine l’abbiamo fatto insieme, io, mio padre e mia madre e questa esperienza ci ha unito ulteriormente: mi hanno dato delle foto del nostro incontro e mi hanno spiegato in modo più dettagliato come funzionava l’adozione. In precedenza non avevo mai notato le differenze fisiche con i miei genitori e non mi ero mai fatta problemi rispetto al colore della pelle: tramite input dell’ambiente esterno, di altri bambini o della scuola ho iniziato a percepirmi come diversa.
A mio figlio spiegherò semplicemente chi ero e chi sono, per fargli capire la mia storia: gli racconterò che nel mondo ci sono tanti bisogni diversi e che dei bambini a volte hanno bisogno di una famiglia mentre delle famiglie hanno bisogno dei bambini. Se questi due bisogni si possono completare forse abbiamo una soluzione per fare in modo che entrambe le due parti possano soddisfare i loro desideri. Ogni genitore, compresi i genitori aspiranti l’adozione, ha dentro di sé un deposito colmo di amore e di emozioni che sente di voler esprimere verso qualcuno. Di certo alcuni genitori che adottano a volte interpretano male i bisogni dei bambini e commettono poi errori nella crescita dei figli, ma errare è umano, si sbaglia da entrambe le parti, sia dal punto di vista dei genitori sia da quello dei figli.
Jaya Mary Guazzo intervistata da Laura Borello
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