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20 Giugno, 2021

Loris scopre la propria adozione

La grande esperienza del Dottor Bonato ci guida in questo articolo a una profonda riflessione: la sostanziale differenza tra sapere la propria storia e comprenderla.
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Può succedere che i figli adottati conoscano gli avvenimenti occorsi, la successione temporale degli accadimenti, ma che non li abbiano riempiti di senso. Raccontando la storia, i genitori pensano che l’essere adottati sia per i figli la realtà  conosciuta. Soprattutto nelle adozioni di bambini piccoli, per i quali o non esistono ricordi o sono sbiaditi e frammentari, ai genitori spetta l’accompagnamento verso la consapevolezza della storia d’adozione.

I genitori di Loris sono stati convocati al T.M. per l’audizione che precede la sentenza di adozione definitiva, dopo quasi quattro anni dal suo collocamento presso di loro a scopo adottivo. Si tratta  di una adozione ad alto rischio giuridico.

I genitori di nascita erano ricorsi in Appello contro la sentenza di adottabilità del piccolo e, successivamente, presso la Corte di Cassazione. Entrambe l’avevano rigettato.

Quando Loris era entrato nella loro casa, aveva compiuto da poco un anno.

Con il cuore finalmente liberato dalla trepidazione, peraltro ben contenuta dalla solida speranza  e dalla gratitudine per la gioiosa responsabilità di accompagnare il bambino nella sua crescita, i genitori descrivono il figlio pressappoco così: è bello, divertente, pieno di curiosità, ha una acuta intelligenza e ha  acquisito buone competenze  e autonomie nelle varie funzioni. E’capace di affetti appassionati e di allegria.  Gli piace stare con gli amici della scuola materna che frequenta volentieri. Ma talvolta sa essere anche capriccioso e  arrabbiarsi. Dopo un po’ di muso, gli passa e sa fare pace. E’ un bambino schietto, fin troppo a volte. Quel che pensa e sente lo dice o lo mostra chiaramente. Col tempo apprenderà, speriamo, anche la discrezione e la misura. I rapporti con i nonni, gli zii e i cugini sono frequenti e caldi, come in ogni buona famiglia allargata e con solidi legami. Si nutre, come ogni bambino, dell’amore che lo circonda.

Viene chiesto ai genitori se il figlio sia stato informato della sua adozione. Quando sia avvenuto e come abbia reagito.

Parla soprattutto la mamma ma interviene, a completare i vari quadri, anche il papà.

Conoscere la storia di adozione

“Come altri bambini figli di amici, anche lui ha fatto qualche volta il gioco di nascere dalla pancia della mamma, nascondendosi sotto la sua gonna o sotto le coperte del lettone scivolando dal suo grembo verso i piedi e uscendone con grandi esclamazioni  di giubilo.

In queste occasioni e in altre nelle quali, come tutti i bambini, chiedeva “dov’ero io prima di…”, se ci sembrava che il clima fra noi fosse di confidenza e di vicinanza intima, gli parlavamo, poco per volta, di quanto noi avessimo desiderato avere un bambino come lui e di quanto grande fosse stata la nostra gioia quando lo avevamo incontrato la prima volta in una bella casa dei bambini, piccolino, che aveva appena imparato a fare i primi passi. “Noi non eravamo in grado di avere un bambino nostro, pur desiderandolo tantissimo. Come sarebbe stato bello per noi che tu fossi nato dalla mia pancia. Tu hai avuto un’altra mamma prima di me che ti ha fatto crescere nella “sua” pancia e ti ha fatto nascere. Magari avrebbe voluto tenerti con sé per sempre e farti crescere lei, ma non ce la faceva, forse non stava bene, forse vicino a lei non c’era nessuno che la aiutasse e allora aveva fatto capire che qualcun altro, al suo posto, avrebbe  dovuto prendersi cura di te e farti diventare grande e forte.”

Loris si mostrava attento, sembrava capire, ricordare e fare sua questa cosa: avere avuto cioè una mamma e un papà prima di noi. A volte capitava  addirittura che  dicesse  a conoscenti e amici che lui aveva avuto due mamme. Ormai da tempo sembrava che la “faccenda” fosse pacificamente chiarita per sempre. Ma, evidentemente, tutte queste confidenze erano rimaste per lui solo semplici “notizie” speciali, che però non lo toccavano più di tanto.

Fino a quando un compagno della scuola materna, Giacomo,  non gli confidò che lui avrebbe avuto un fratellino di lì a qualche mese e intanto stava crescendo nella pancia della mamma. Perché tutti i bambini, anche noi, aveva aggiunto, siamo stati nella pancia della nostra mamma.

Qualche settimana dopo l’amico, quando la sua mamma  arrivò a prenderlo nel pomeriggio, gli fece osservare: “Vedi la pancia della mia mamma com’è grossa?”

Capire la storia di adozione

Tornato a casa,  Loris in salotto si era messo  a fare costruzioni con i mattoncini del Lego e la mamma, in cucina, era affaccendata a riordinare. Il bambino, improvvisamente, “a bruciapelo” le aveva lanciato questa domanda: “Anch’io, mamma, sono stato nella tua pancia come Giacomo in quella della sua?”.

”Questa domanda, confesso, da tempo non me l’aspettavo più e mi trovai senza parole e senza pensieri. Rimasi in silenzio, stupita, impreparata, davanti a lui. Mi avvicinai un po’, e cercai di ricordargli che tante volte col papà gli  avevamo parlato  della mamma che lo aveva tenuto nella “sua” pancia, perché noi non potevamo avere bambini nostri.

Loris era in piedi davanti a me, muto, teso, ascoltava.

“Io non ho potuto tenerti dentro di me, lo sai, e questa cosa mi è dispiaciuta tanto… quanto tu non puoi sapere”.

Non  potei aggiungere nulla perché il bambino esplose in grida di rabbia mentre piangeva: “Allora tu non sei la mia mamma, non sei la mia mamma. Tu sei una bugiarda. Io non ti voglio più… tu non sei la mia mamma”.

Cominciò a lanciare con violenza, dove capitava, i mattoncini della casa che stava costruendo. Inutile ogni altra parola. Non l’avrebbe sentita, non l’avrebbe ascoltata; non c’era più posto dentro di lui per qualcosa che non fosse la rabbia e la disperata delusione.

C’eravamo illusi – continua – che Loris avesse compreso bene il significato delle nostre tante parole dei tempi passati e che le avesse fatte sue. Forse allora, invece,  le aveva prese come una delle fiabe che hanno sempre un bel finale: un bambino si perde nel bosco, la sua mamma non riesce più a trovarlo. Lui è pieno di spavento e cammina, cammina nella notte. Finalmente scorge una lucina lontano e una casetta. La raggiunge, bussa, gli apre una bella fata che lo accoglie, gli dà del buon latte caldo e lo mette in un lettino morbido e lui si sente al sicuro…

Ero sopraffatta dal dolore. Mi sentivo aggredita ingiustamente e insieme pervasa da confusi sentimenti di colpa nei confronti di Loris.

Piangevo in silenzio seduta sul divano, e cercavo di ricordarmi: “Noi , però, siamo sempre stati bene insieme fin dal primo giorno, fino ad ora”.

Loris non mi colpì con nessun pezzo di Lego e non spaccò nulla di importante in sala. Solo noi due eravamo “a pezzi”.

La tempesta e le grida poco a poco si placarono. Da lontano il bambino mi fissava ancora imbronciato, io lo intravedevo tra le lacrime, disarmata. Non sentivo rabbia, solo uno strazio “viscerale”.

Dopo un lungo silenzio mi si avvicinò lentamente, si fermò. Con uno sguardo compassionevole, come se mi volesse asciugare le lacrime, mi chiese: “Vuoi che vediamo assieme un cartone animato? Ma adesso basta piangere”.

E’ passato circa un anno da quel giorno. Loris è tornato in poco tempo il bambino di sempre, allegro, pieno di curiosità e di voglia di amici e di giochi.

Voi siete i miei genitori

Alcuni mesi dopo, la sera di un giornata chiara  di  fine primavera la famiglia è riunita sul terrazzo di casa che si affaccia sul lago solcato da tante vele bianche e  riposa, dopo essere salita per sentieri sui monti vicini insieme ad amici e ai loro bambini. Giochi e colazione all’aperto. Prati e fiori di campo.

Loris, con l’aria e l’emozione di chi deve fare un grande annuncio, e si aspetta molta attenzione, esce con questa espressione:” Mamma, papà, oggi ho saputo una cosa bellissima – un breve silenzio –: ho saputo che voi  siete i miei genitori”.

E’ come se Loris avesse avuto una rivelazione, come se gli si fossero aperti gli occhi dell’anima e la “notizia” ricevuta in passato, che faceva parte della sua memoria cognitiva, si fosse trasformata in un’esperienza emozionale profonda, definitiva. “Sapere” come “gustare, assaporare, sperimentare con tutto il suo essere la verità di se stesso, bambino rigenerato nell’amore”.

Il nostro sguardo spesso è corto, miope, noi “non sappiamo”,  cosa diventerà  e come,  questo bambino nel corso degli anni che verranno.  Ma nel suo  processo di crescita e di trasformazione verso la maturità probabilmente attraverserà ancora il territorio minato del dubbio, del sospetto, della disillusione, della messa in crisi di quell’ultimo forte, appassionato convincimento.

Possiamo tuttavia pensare che ci siano basi sufficientemente solide per prevedere per lui una vita ricca di traguardi  nel campo del pensiero, degli affetti, della realizzazione umana e professionale. Ci sembra di intravederne le premesse.

Augusto Bonato

psicologo-psicoterapeuta, già giudice onorario al Tribunale per i Minorenni di Milano

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