
Adozione e ricerca delle origini
Nel mondo dell’adozione, ad un certo punto si arriva ad una fase in cui la persona adottata inizia ad avere delle curiosità. Si interroga su quali sono le sue origini, da dove viene, chi sono le persone che l’hanno messa al mondo. Così parte quella voglia irrefrenabile di conoscere, scoprire, ricordare e dare un significato al suo passato. Cerca, piano piano, di dare delle risposte a quelle domande che viaggiano all’interno della sua mente da diverso tempo. Per lo meno, questo è quello che è successo a me.
Perché è importante cercare le proprie origini
Sono una ragazza di 22 anni. Sono stata adottata all’età di 7 anni e mezzo.
Dentro di me ho portato sempre dei ricordi poco piacevoli riguardo alla mia famiglia d’origine, niente del mio passato era stato bello. Avendo avuto un vissuto complesso, difficile mi è stato anche ambientarmi nella nuova famiglia italiana, in quei luoghi per me sconosciuti. Ci sono voluti anni per abituarmi e, all’inizio, ricordo che il rapporto con i miei genitori adottivi non era dei migliori: piangevo sempre e non parlavo con nessuno, se non con mio fratello.
Crescendo, precisamente durante l’adolescenza, iniziai a pormi le prime domande sul mio passato. Sentivo di non appartenere a nessun posto, nessun luogo era casa mia. Percepivo di essere io la mia sola ed unica famiglia. Avendo addosso a me questa brutta sensazione, scappavo sempre di casa o provavo a cercare in altre donne una figura materna, poiché non accettavo né mia madre biologica, né mia madre adottiva. Non so il vero motivo di ciò, però credo che sia stata una conseguenza del sentirmi abbandonata da mia madre biologica; da lì sarà scattato in me un sentimento di rifiuto verso coloro che mi erano designate come madri.
Posso dire di avere un approccio diverso per quanto riguarda la figura paterna, mi sono sentita più tranquilla ad accogliere questa figura all’interno della mia vita, forse perché non ho vissuto mio padre biologico. Lui è stato messo in prigione, quindi lo avrò visto appena due volte.
Adesso vivo in Italia con la mia famiglia adottiva e con mio fratello biologico, adottato insieme a me. Io e lui, quando siamo arrivati a Palermo, eravamo molto uniti e la nostra promessa era quella di tornare un giorno nel nostro Paese d’origine. Successivamente, però, lui ha cambiato idea e le nostre strade hanno preso percorsi differenti. Ci siamo un poco separati e non abbiamo più parlato di adozione. Io ho vissuto questa situazione con molte difficoltà, avevo bisogno di parlare con qualcuno, ma non riuscivo, ho affrontato tutto da sola.
La decisione di tornare al paese da sola
Quindi, un giorno decisi di iniziare la ricerca delle mie origini, presi un aereo e partii per incontrare la mia famiglia biologica. Una mattina, per caso, aprendo un armadio a casa, avevo trovato dei documenti sull’adozione e visto i nomi della mia famiglia biologica. Li cercai subito sui social e li trovai. Mi misi in contatto con loro e pianificammo insieme il viaggio. In tutto ciò mi aiutò un mio amico ungherese, anche lui adottato.
Avvisai i miei genitori adottivi forse il giorno prima della partenza, ma non volli la loro compagnia. Fu una cosa che volli affrontare da sola, come tutto ciò che mi accadeva nella vita. Con le esperienze mi sono fortificata.
Andai da sola, nessuno mi accompagnò, era il mio primo viaggio senza altre persone. All’aeroporto del mio paese, c’erano ad aspettarmi alcuni parenti, tra cui mia madre ed i miei fratelli. Sapevano del mio arrivo ed erano tutti molto contenti. Non credevo ai miei occhi: dopo 12 anni rivedevo coloro che erano stati la mia famiglia per i primi anni della mia vita. Ci abbracciammo e mia madre scoppiò in lacrime per la felicità. Non ricordavo il volto di mia madre, ma l’ho trovata molto simile a me esteticamente. Fu un incontro pesante, difficile da gestire e pieno di emozioni. Non mi aspettavo di vedere piangere mia madre biologica o forse sì, ma avrei voluto evitare, non sapevo bene cosa fare in quel momento.
Sono stata lì una settimana, ospite di uno dei miei fratelli. Durante quei giorni mi hanno fatto vedere i posti più importanti del Paese ed ho incontrato altri parenti che non ricordavo di avere. Ho chiesto a mia madre biologica di portarmi al cimitero dove riposa mio padre. E’stata una sensazione strana: sentivo dispiacere per una persona che non c’era mai stata nella mia vita. Mi hanno accolto tutti bene, però non mi sentivo a casa. Mi sono trovata meglio con uno dei miei fratelli. Con lui abbiamo lo stesso modo di pensare e condividiamo alcune passioni come la scrittura e lo sport.
Che cosa ho imparato da questo viaggio
Sono contenta di avere avuto il coraggio di fare questo viaggio, mi è servito a darmi un’identità e a capire il mio posto nel mondo. Ora mi sento diversa rispetto a prima, ho accettato l’abbandono e l’adozione. Ho imparato a perdonare e a capire che ognuno ha i propri problemi e vissuti complessi che portano a commettere degli errori. La vita è piena di sbagli che si commettono, ma non bisogna mai condannare qualcuno senza sapere ciò che ha provato e passato realmente.
Da quel giorno sono rimasta in contatto con i miei fratelli e con mia madre. Ci scriviamo spesso tramite social e con una delle mie sorelle ci inviamo dei regali per Natale. Ai miei genitori adottivi ho mostrato delle foto della mia famiglia ungherese, anche di mio nipote di 5 anni, e sono stati contenti di vederle. I miei fratelli mi hanno spiegato tante cose e ho perdonato. Da quell’incontro ho capito che essere adottata è stata la cosa più giusta per me. Da lì ho accettato tutta la situazione. Dopo il viaggio il rapporto con i miei genitori adottivi è migliorato. Avevo bisogno di capire chi ero realmente. Avvenuto ciò, ho maturato dentro di me un sentimento diverso dalla rabbia nei confronti dei miei genitori adottivi, un qualcosa di positivo.
Che cosa consiglio ai genitori adottivi
Quando un ragazzo adottato si trova in questa fase di ricerca, è importante non lasciarlo solo perché si tratta di un percorso abbastanza complesso.
E’ opportuno che i genitori adottivi capiscano le necessità del figlio, gli tengano la mano, lo accompagnino e supportino in questa sua scelta. Così facendo, si sentirà protetto rispetto ad una cosa più grande di lui che magari lo spaventa: l’incontro con i genitori e fratelli biologici. Se ha fratelli nel suo Paese di origine, è giusto farli ricongiungere. E’ importante il rapporto con i propri fratelli, ritrovare ciò che si è perso a causa della separazione.
Bisogna che ci sia un dialogo sincero e senza paura tra genitori adottivi ed il ragazzo, altrimenti quest’ultimo potrebbe creare una barriera di protezione da loro per appagare la sua voglia di conoscere la sua storia passata, escludendoli dalla sua vita e chiudendosi in se stesso. Io non ne ho parlato con i miei genitori adottivi, ho da subito alzato un muro. Avevo un rifiuto verso tutti e la rabbia era tanta. Non riuscivo a capire perché fossi stata portata via dalla mia terra. Solo dopo ho capito tutto, ma da sola.
La mia famiglia adottiva e quella biologica non si sono mai sentite, due famiglie estranee tra loro, non c’è mai stato neanche un saluto. Mi sarebbe piaciuto un loro avvicinamento, stare tutti insieme, ma ahimè non è accaduto.
Che cosa consiglio ai figli che cercano le loro radici
Il viaggio è stata un’esperienza difficile, ma da cui ho imparato molto. L’ho fatto appena compiuta la maggiore età e lo rifarei se tornassi indietro. Penso che ritornerò presto nel mio Paese per rivedere le mie sorelle ed i miei fratelli, ma non credo di voler avere rapporti con mia madre biologica. Lei ha commesso degli errori, ma non ha imparato niente di giusto, perché ha continuato a ripeterli con gli altri figli che ha concepito dopo di me. Il mio Paese d’origine lo porto nel mio cuore e quando qualcuno mi chiede: “Di dove sei?”, io rispondo sempre: “Sono nata in Ungheria, ma vivo in Italia”.
Laura Manzo
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