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31 Luglio, 2021

Mio figlio ha un compagno adottato

Scegliamo di affrontare una zona d’ombra che tutti noi abbiamo e che il più delle volte nascondiamo a noi stessi
ItaliaAdozioni
insieme a favore di una migliore cultura dell'Adozione e dell'Affido

Laura, mamma biologica ci pone un quesito:  “Se devo spiegare a mio figlio perché il suo amico e compagno di classe è stato adottato ho tanti argomenti sulla parte “buona” della storia, l’accoglienza, l’amore di chi l’ha cercato e voluto eccetera, ma devo necessariamente parlare del prima, del lato “oscuro” cioè del fatto che il bambino prima ha perso i genitori (morti, impossibilitati, ecc.)”. Come posso affrontare l’argomento?”

Come dare spiegazioni e come rispondere alle domande

Domande difficili e spesso sono disarmanti: “Dov’è la tua “vera mamma”? Perché sei stato abbandonato?”. Spiega la canadese Johanne Lemieux, assistente sociale e psicoterapeuta specializzata in adozione: “Queste domande riflettono una paura, una preoccupazione dei bambini stessi che le pongono. Essi realizzano che certi genitori abbandonano i loro figli. Questo potrebbe capitare anche a loro?”.

La difficoltà di raccontare l’abbandono ai bambini

Johanne Lemieux è ideatrice di un nuovo approccio psico-sociale chiamato “Adopteparentalité”.

Lei insegna ai genitori, ma anche per i soggetti interessati sia in Quebec che in Europa. La Lemieux è stata recentemente citata e tradotta nel blog “Spazioadozione Ticino” che ha pubblicato una sintesi, in italiano, della relazione ”10 trucchi per un successo scolastico”.

“Occorre spiegare ai bambini adottati – indica la Lemieux – prepararli alle domande ed allenarli a rispondere”. Ma come trovare delle risposte che il genitore biologico può dare al proprio figlio? Ancora Laura, non ha risposte ma si pone diversi quesiti:  ”il mio bambino, che ripone grande sicurezza nella presenza scontata dei propri genitori, sa che i genitori ci saranno per sempre e cose così, dovrà scontrarsi con la mia narrazione di una realtà che farà crollare queste certezze. Allora io, genitore biologico, perché a causa dell’amico devo introdurre un possibile trauma nelle certezze da favola di mio figlio che questi problemi non ha? Allora non è meglio “glissare” e rimanere sul vago? O addirittura salvarmi con delle fandonie tipo: nel Paese da dove viene, i bambini sono per strada senza genitori, o si vede che si era perso (monito educativo correlato “stai attento a non allontanarti troppo”). Ma pensandoci un po’ ho capito che il vero tabù dell’adozione per un genitore biologico è l’introduzione dell’idea di abbandono, i genitori adottivi devono affrontarlo per necessità e gli costa assai, ma agli altri genitori chi glielo fa fare?”.

La paura di essere abbandonati

Mariangela Corrias, psicologa di ItaliaAdozioni non ha una ricetta valida per tutti ma pone delle considerazioni:  ”E’ vero, sono d’accordo, non è cosa da poco.  Il problema secondo me non è solo la fantasia che il proprio figlio si è costruito sulla presenza costante dei genitori, ma affrontare una zona d’ombra che tutti noi abbiamo e che il più delle volte nascondiamo a noi stessi, rendersi consapevoli della paura che abbiamo tutti noi di essere abbandonati, è fare i conti con  la risonanza interiore che l’abbandono crea in noi stessi. Tutti noi infatti, in qualche momento della nostra infanzia ci siamo sentiti abbandonati e questo ci riporta a scavare in zone d’ombra profonde e nascoste, paure ataviche e antiche.

Un bambino adottato e perciò abbandonato, ci mette di fronte alla paura dell’abbandono che tutti noi abbiamo e che tutti noi prima o poi abbiamo sperimentato. Questa paura è una delle più profonde e delle più sconcertanti, ricordiamoci che un bambino senza la presenza di un adulto che si occupi di lui, muore, non sopravvive. Ed è questo che ci porta a negare la realtà: se il genitore non avesse mai vissuto il fantasma dell’abbandono, anche spiegare al proprio figlio la realtà adottiva sarebbe più semplice – ma allora dobbiamo proprio “glissare” e rimanere sul vago, come dice Laura? – Negare la realtà protegge – prosegue Mariangela – sia il proprio figlio ma anche se stessi. E’ evidente che questa spiegazione può non valere per tutti, ciascuno di noi è in una situazione evolutiva e psicologica diversa: qualcuno ha acquisito maggiore sicurezza ed è in un certo senso più “attrezzato” di fronte ai problemi della vita,  questo gli consente di avvicinarsi a situazioni difficili senza il bisogno di difendersi eccessivamente.

Credo però che l’adozione risvegli in tutti noi paure infantili di fronte alle quali spesso siamo impreparati. Affrontarle permette di essere più consapevoli e di liberare zone d’ombra della nostra vita che altrimenti,  forse non avremmo mai neanche conosciuto.”


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