
“Naomi Campbell e la figlia, la mia gioia più grande. Cover Vogue Uk con lei, ‘non è stata adottata’”. Così l’agenzia Ansa ha titolato l’articolo sulle affermazioni della top model a proposito della bambina che ha avuto pochi mesi fa.
L’agenzia d’informazioni Ansa, va ricordato, è una fonte fondamentale per tutti noi giornalisti e per tutti i media. Influenza gli argomenti, il linguaggio, i temi e le persone che poi ritroviamo sui giornali, in tv, alla radio, sui siti web.
L’agenzia Ansa ha una diffusione internazionale. Viene consultata nelle cancellerie, nei palazzi del potere, nelle imprese più importanti di tutto il mondo.
A metà articolo dell’Ansa possiamo leggere: “Naomi ha annunciato di essere diventata madre su Instagram nel maggio 2021, con un post dei piedini perfetti e deliziosamente minuscoli di sua figlia nel palmo della sua mano curata. I dettagli esatti sul suo arrivo sono sconosciuti. ‘Non è stata adottata, è mia figlia’, ha rivelato”.
Poi l’articolo prosegue: “Il resto dei dettagli saranno in un suo libro che deve cominciare a scrivere. Ha anche deciso di mantenere privato il nome della piccola. In effetti, pochissime persone sapevano che stava pianificando la genitorialità”.
Non abbiamo il piacere di sapere il nome della bimba. Apprendiamo invece che il resto dei dettagli saranno in un libro che la Campbell deve cominciare a scrivere.
Comprendiamo così l’obiettivo dell’articolo: promuovere il libro che scriverà, facendo un po’ di rumore sul fatto che la sua è una “figlia vera” (e bella), non una figlia adottata (che non sai mai come ti viene).
Le affermazioni della “Venere Nera”, come l’hanno soprannominata i giornali, hanno suscitato sui social le reazioni del mondo dell’adozione. Tanto che alcune testate online hanno pensato bene di addolcire l’uscita della Campbell.
Come mai – c’è da chiedersi – la top model ha fatto un’affermazione del genere sulla figlia “non adottata”? È stato uno scivolone dovuto all’emozione di farsi intervistare, come mamma, da Vogue? I mesi post-parto l’hanno messa sotto stress tanto da non riuscire a capire le conseguenze di certe frasi? Oppure la Campbell guarda dall’alto in basso la genitorialità adottiva?
Nulla di tutto questo. Dietro le affermazioni di Naomi Campbell c’è una strategia di comunicazione. Poco efficace, a mio parere, ma è comunque una strategia. Senza quella frase sulla figlia, non staremmo qui a occuparci di una madre di una certa età che vive in quel mondo impalpabile che si chiama “fashion”.
L’ufficio stampa della top model ha preparato un testo, vi ha messo del pepe (la figlia “non” adottata), ha aggiunto un pizzico di mistero sul nome della bimba. E poi ha dato una mezza notizia: che uscirà un libro sull’esperienza di questa mamma di 50 e passa anni.
Dopo di che, lo stesso ufficio stampa ha trovato un giornalista compiacente. Ha staccato un assegno per andare su un certo giornale, ha oliato il meccanismo per farlo rimbalzare anche all’estero (Italia inclusa); e infine ha contato sull’effetto imitazione e sulla propensione a copiare dei giornalisti.
Alcuni giornali italiani – forse ripagati in pubblicità o con altro mezzo – si sono messi sull’attenti di fronte a quest’operazione commerciale venuta dal Regno Unito.
Altri media, come spesso succede anche nella stampa italiana, si sono accodati perché lo sport del giornalismo italiano da molti anni è quello di ricalcare in modo acritico cosa fanno gli altri. Altri giornali ancora hanno rincarato la dose, perché c’è sempre chi ama essere più realista del re.
Una perla nel “caso Naomi” la troviamo in un articolo uscito su Repubblica.it. Vi leggiamo che la figlia della Campbell “è anche molto rilassata durante lo shooting, spiega la Venere Nera: ‘Ama le luci. È curiosa. Guarda tutti dritta negli occhi’. Una top model in fasce, a quanto pare. Non a caso, la genetica è dalla sua parte: ‘Non è stata adottata, è mia figlia’, specifica Naomi Campbell quando le viene chiesto di elaborare meglio le circostanze del suo arrivo”.
Qui la giornalista di Repubblica mostra un’altra caratteristica del giornalismo italiano: la mancanza di studio e di riflessione. Cosa c’entra la genetica con l’essere rilassata durante lo shooting? Io, per via genetica, dovrei essere un eccellente meccanico d’auto come mio padre; o un bravo maestro coloritore come mio nonno. Non è così, purtroppo.
L’affermazione sulla figlia “non adottata” dà modo di tornare a riflettere sul modo in cui i giornalisti – oliati o meno dagli uffici stampa – riportano le dichiarazioni di un qualche personaggio pubblico.
Oltre ad uscite ridicole, come la genetica applicata alla moda, assistiamo sulla stampa a una chiara rinuncia al ruolo di filtro, di mediazione che è invece proprio del giornalismo. Un ruolo di mediazione sottolineato da Sergio Lepri, direttore dell’Ansa per trent’anni, e morto a 102 anni poche settimane fa.
Lepri – che ha insegnato all’Università Luiss – nei suoi scritti richiama noi giornalisti ad assumerci la responsabilità di selezionare cosa dire, come dirlo e quando dirlo nel modo migliore.
Giornalista non è colui che apre il microfono e fa passare tutto quanto una persona (importante o meno) dichiara. Il giornalismo è ricerca, selezione e confezione delle notizie. La professionalità di un giornalista sta proprio nel valutare quanto una fonte rivela, nel pesarne l’autorevolezza, nel verificarne la verità sostanziale e l’autenticità.
Senza queste caratteristiche, non vi è giornalismo. Vi sono parole scure scritte a caso.
Non sono comunque solo i giornalisti a far passare certe “perle di disinformazione”. Anche in film e serie tv sentiamo di “genitori veri” (anziché “biologici”).
In più casi il protagonista di un film thriller – l’assassino o lo psicopatico – ha un passato di adozione, di affido o di esperienze in comunità. È assai raro trovare un killer psicopatico espressione di una famiglia alto borghese, ad esempio.
Tirando in ballo adozione o affido, gli sceneggiatori – italiani e stranieri – mostrano gli stessi limiti di informazione e la stessa miopia dei giornalisti.
Il pubblico, per fortuna, è più informato di certi giornalisti o sceneggiatori, come dimostra la ricerca IconA su cosa gli italiani e le italiane pensano dell’adozione.
Non ci resta – così – che sperare in generazioni di giornalisti, sceneggiatori e comunicatori che abbiano a cuore la qualità del proprio mestiere: anziché aprire i microfoni a caso, anziché farsi condizionare dagli uffici stampa dei Vip o fermarsi al pregiudizio, contiamo che si mostrino professionisti coscienziosi e aderenti alla verità sostanziale dei fatti.
Maurizio Corte
Docente di Giornalismo Interculturale
Centro Studi Interculturali – Università di Verona
Bellissimo articolo…grazie mille per sostenere noi mamme..e cercare di “illuminare” chi vive nel buio più totale dell’ignoranza