
Le domande nell’attesa
L’attesa. Forse uno dei grandi “spauracchi” dell’adozione. Quanto tempo dovremo aspettare? Quando saremo chiamati dal Tribunale? Quanto passerà prima che ci venga proposto un abbinamento? Quanto tempo dovrà trascorrere prima di poter vedere/toccare/finalmente portare a casa nostro figlio?
Sono domande senza risposta, o meglio, senza una precisa risposta perché nell’adozione ogni storia è a sé. Nel nostro caso l’attesa è stata incredibilmente breve: dall’idoneità all’abbinamento con nostra figlia sono passati solo 9 mesi. Come una gestazione, esattamente.
E riempire quell’attesa in fondo non è stato troppo difficile, perchè eravamo nella fase in cui la speranza era incredibilmente viva, non schiacciata dallo scorrere del tempo. Un pensiero, fisso, mi assillava in quei mesi. Un pensiero diventato insistente nei pochissimi giorni trascorsi tra l’abbinamento e il momento in cui, finalmente, abbiamo preso tra le braccia la nostra bambina.
Mi riconoscerà come mamma? Avrà per me quell’ attaccamento che i figli hanno naturalmente nei confronti delle mamme biologiche? Quel contatto pelle-pelle, quella simbiosi che è chimica, quel saper riconoscere la mamma tra mille mamme semplicemente dal suo odore?
Mi tormentavo, piena di paura: per me lei era già figlia e ancora non l’avevo vista… la sentivo nelle viscere, nell’anima, la immaginavo nella sua culletta in ospedale ad aspettarci, sognavo di prenderla tra le braccia e riempirla di baci. Lei invece non sapeva ancora chi sarebbe stata la sua mamma. Ero ansiosa, bramosa di conoscerla e allo stesso tempo terrorizzata dal fatto che lei potesse semplicemente… non capire che fossi io, la sua mamma.
Riconoscersi
Ora, che sono trascorsi 4 anni, ripenso a quei momenti e sorrido. Mia figlia ogni giorno quando si sveglia vuole “annusarmi”: respira il profumo della mia pelle e sospira di felicità.
Quando è con i nonni spesso dice “non vedo l’ora di vedere la mia mamma, per respirare il suo profumo”. Sembrerà scontato forse, ma questa cosa mi fa scoppiare il cuore di gioia.
Si dice spesso che i figli adottivi siano figli del Cuore. Lo trovo estremamente riduttivo.
Io mia figlia la sento sotto la pelle. La sento nella pancia, la sento nella mia voce che la chiama, le racconta le favole, le canta la ninna nanna, la rimprovera. La sento nel mio naso, con l’odore della sua pelle, dei suoi capelli. La sento nelle mie mani, che la accarezzano e la cullano. La sento nella mia testa, nei miei pensieri costantemente verso di lei. La sento sul mio petto, che la culla e la protegge anche se non l’ha mai nutrita.
Sono certa che l’essere genitori sia questo, in fondo: sentire i propri figli, con tutto il corpo. Con tutti i sensi.
Paola Moschini
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