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31 Ottobre, 2020

Parlare della propria adozione a scuola

Raccontare ai compagni di scuola dei figli la nascita della famiglia adottiva.
ItaliaAdozioni
insieme a favore di una migliore cultura dell'Adozione e dell'Affido

Parlare di adozione a scuola, con il supporto di docenti e genitori, può essere un’occasione importante di condivisione, cultura e legittimazione del proprio essere semplicemente genitori e figli. Riportiamo la bella esperienza di una famiglia che ha preparato con il figlio gli strumenti adatti per coinvolgere gli alunni nel loro racconto.

Come divulgare la cultura dell’adozione

“Volete raccontare in classe di nostro figlio la sua storia e più in generale come si può divenire famiglia attraverso l’esperienza adottiva?”. Quando ci è stata rivolta questa proposta dalla psicologa dell’ente che ci ha seguiti nel percorso adottivo, siamo stati inizialmente un poco spiazzati. Saremmo riusciti nell’impresa?

Nell’interesse di nostro figlio, con la speranza di contribuire un poco a divulgare la cultura dell’adozione nel mondo scolastico e quindi anche nella sua vita quotidiana, e con il consenso entusiastico delle sue insegnanti, abbiamo deciso di  accettare la proposta.

Quale materiale serve per raccontare l’adozione

Le insegnanti, rifacendosi ad alcuni testi, hanno preparato la classe sul discorso “storia personale” evitando di far portare a scuola foto di ecografie antecedenti la nascita o oggetti simili e hanno invece scelto di improntare il tema, propedeutico  all’introduzione dello studio della storia, su un evento vissuto dal bimbo nel suo passato, documentabile con un oggetto, una fonte materiale o iconografica a lui particolarmente cara, che potesse essere condivisa con tutto il gruppo classe.

Noi, dal canto nostro, abbiamo deciso di preparare un cartellone con raffigurata una montagna. A partire dalla base del cartellone e fino in cima sono state create delle finestrelle in cui sono state incollate foto famigliari, da quella del nostro matrimonio, a quelle scattate a Kathmandu (città natale di nostro figlio) per arrivare alla fine, alla foto di noi tre nella nostra casa in Italia.

Unitamente al cartellone è stata portata in classe una scatola di scarpe riccamente decorata e infiocchettata contenente oggetti raccolti in Nepal che potessero contribuire a raccontare, unitamente alla sua storia, i colori, gli usi e i profumi della sua terra. Per esempio vi sono stati collocati al suo interno: il suo passaporto, il suo quaderno scritto in nepali, foto della sua città natale, un sacchettino di spezie e lenticchie,  piatto forte della cucina nepalese, le rupie nepalesi e il gioco da tavolo più diffuso in Nepal.

L’incontro con i bambini in classe

Con emozione abbiamo iniziato a raccontare con parole semplici alla classe la nostra storia, la nostra scelta di divenire genitori del mondo e l’iter necessario per arrivare a ciò: dal tribunale, all’ente, al viaggio, all’incontro con nostro figlio, insomma la nascita della nostra famiglia.

I bimbi a turno uscivano dal banco e nelle varie tappe del racconto venivano alla lavagna a scoprire le finestrelle del cartellone e la relativa foto che illustrava o anticipava il nostro racconto.

Parallelamente alla nostra narrazione mio figlio ha spiegato ai compagni che, intanto che noi conducevamo la nostra vita qui,  lui nasceva e viveva in Nepal, un paese lontano con i suoi usi e costumi molto distanti dai nostri. I compagni hanno fatto a gara per uscire a turno dal banco e venire a pescare un oggetto dalla sua scatola magica, da qui la spiegazione sull’uso dell’oggetto nepalese trovato.

Mio figlio ha raccontato come viveva, cosa faceva e del suo arrivo nella casa dei bambini, del nostro successivo incontro, dei nostri due viaggi fatti per poterlo conoscere e adottare e infine del suo arrivo in Italia con la sua nuova famiglia.

Era emozionato, ma felice di essere al centro dell’attenzione della classe e di poter raccontare la sua storia, cosa importantissima, alla nostra presenza.

Ha legittimato davanti ad insegnanti e compagni il suo essere figlio e il nostro essere semplicemente genitori.

Naturalmente tutto ciò è stato intercalato da un fuoco di domande, dalle più ovvie e curiose a quelle che in parte temevamo, più impegnative.

Un suo compagno naturalmente ha chiesto: “Ma perché tua mamma ti ha portato alla casa dei bambini?”

Stavano prontamente per intervenire le insegnanti, ma mio figlio le ha anticipate rispondendo da solo: “Perché sono giunte delle difficoltà e non ha più potuto occuparsi di me, ma mi ha portato alla casa dei bambini dove mi avrebbero accudito e trovato un papà e una mamma che mi avrebbero adottato, perché tutti i bimbi per crescere hanno bisogno di una famiglia”.

Il suo compagno ha compreso e gli ha chiesto come si fosse sentito in quel momento, mio figlio ha risposto ovviamente triste, ma alla fine felice di iniziare una nuova vita con noi.

Doveva essere un’ora di lezione, è stata una lezione di vita durata tutta una mattina!

Alla fine della mattinata siamo tornati a casa stanchissimi per le  forti emozioni provate, ma felicissimi di essere stati  vicini a nostro figlio in questo percorso e in questo momento importante della sua vita.

Spiegare per essere accolti

I giorni seguenti ha riferito di aver risposto ancora a domande rivoltegli dai compagni, domande inerenti la sua vita in Nepal tipo la scuola, il cibo e  tante altre.

Sicuramente si sono definitivamente spente le domande, a cui per altro non è mai stato fortunatamente sottoposto, tipo:”Ma come mai sei stato adottato, ma i tuoi genitori li chiami mamma e papà ecc…”

All’atto pratico una testimonianza in diretta di come si nasca famiglia adottiva sembra abbia tolto a tutti qualsiasi curiosità o pregiudizi in merito.

Questa è stata la nostra esperienza:  forte, ricca, emozionante e sicuramente positiva.

Il cartellone e la scatola dei ricordi, ora che il fanciullo è un adolescente 17enne , sono ancora custoditi nel suo armadio in camera sua.

A buon intenditor poche parole!!!!!

Rossana


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