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14 Giugno, 2021

Quando l’adozione diventa difficile

La ri-strutturazione del campo relazionale spesso richiede di superare grandi aree di profondo dolore, in cui i genitori sono messi a dura prova.
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LIMITI E REGOLE

“Fin qui arriverai, ma non oltre”. (Il signore degli Anelli, J.R.R. Tolkien)

Il giusto confine crea il campo relazionale sicuro, quello spazio emotivo dove le relazioni possono essere vissute serenamente, nutrendo di significato e bellezza la nostra interiorità. Il “confinamento” è l’azione educativa volta a porre argini all’esplosione caotica di energia vitale attraverso regole e limiti e si realizza magistralmente attraverso una funzione paterna costante, ferma ed equilibrata. La totale assenza di limiti e regole, o  la sottomissione realizzata con forme di violenza fisica o psicologica, spesso conducono alla deriva opposta, ovvero quella della ribellione, della trasgressione e talvolta, dell’antisocialità. Quando un bambino arriva nella famiglia adottiva con questo tipo di imprinting, il lavoro educativo di confinamento diviene infinitamente prezioso, quanto estremamente complesso da realizzare. La ri-strutturazione del campo relazionale spesso richiede di superare grandi aree di profondo dolore, in cui i genitori sono messi a dura prova e diventa più che mai fondamentale rimanere uniti, cercando insieme quei piccoli “attimi di luce” che permettono di rigenerare l’energia interiore.

LETTERA DI UN PADRE

Il bene che ti voglio non è una cosa da dire.

E’ in quello che faccio ogni giorno, rinunciando a qualcos’altro. Sono le maniche rimboccate, gli straordinari, la sveglia presto  anche quando sono stanco morto, sono le poche vacanze, i conti da pagare e le ruote della tua bicicletta gonfiate ancora per bene, prima di andare a dormire.

E’ anche per te, questo arrivare sempre fino in fondo alle cose, quando è tanta la fatica e non vedi una fine, e tutti si aspettano qualcosa. Chissà poi, se la mia schiena sarebbe stata tanto forte senza il tuo peso fra le mie braccia.

E’ così che sono diventato tuo padre, senza tante cerimonie, la prima volta che ti ho presa in braccio, dopo tutta quella trafila di interrogatori. Ci siamo guardati negli occhi e non ho più respirato,  per non disturbare il tuo respiro che tanto bastava a far vivere anche me.

Adesso è tutto cambiato, non capisco il tuo umore che rincorre la luna, e mi dicono che se ti voglio bene devo accettare i capelli viola, il buco nelle orecchie, gli amici con i cani, i carabinieri sotto casa, le pastiglie che ti fanno dormire e quelle che ti fanno alzare.

Ma, io sono sempre lo stesso e continuo ogni giorno a fare le stesse cose, rimetto le tue scarpe ben appaiate sul gradino e quando torni tardi faccio finta di dormire. Quando vomiti chiusa in bagno, e quando piangi dietro la porta chiusa e alzi il volume della musica per non farmi sentire, io guardo quel video, quello dove canti in pigiama, solo che poi mi sento morire e devo andare via.

Devo uscire, camminare, buttare da qualche parte tutta questa voglia di urlare che fa più paura a me che a te, e  non posso nemmeno darti un ceffone pensando che basti a cambiare le cose, ma non voglio rimanere  impotente con il cuore squarciato a guardarti mentre mi getti addosso la tua disperazione come fosse sale.

Mio padre aveva in faccia un vocabolario di rughe, mi guardava e basta. Tu non mi guardi più da tempo, non ricordo quando è stata l’ultima volta che abbiamo mangiato insieme, senza le urla di tua madre, i ricatti e le strategie psicologiche per stanare la tua voglia di vivere dietro il gusto di un boccone.

Ho perso il conto di tutti i dottori cha ti hanno visitata, di quelli che ci hanno fatto sentire in colpa, di quelli che invece, ci hanno dato speranza, tra un caffè e l’altro preso con tua madre nei posti più assurdi, per quel nostro gioco di “fare una pausa” da tutto questo stare male, aggrappandoci a piccoli attimi di luce.

Ora che sono di nuovo davanti ad una porta chiusa, mentre una psicologa cerca di farti parlare, mi torturo all’idea di essere un pezzo del dolore che ti affama, e mi domando perché sto seduto sempre sulla sedia sbagliata. “Lei deve aspettare fuori”, è la frase che mi sento dire da sempre e da sempre mi sembra impossibile dal momento che ti sento dentro.

Scusa Francesca se non te lo riesco a spiegare, ma forse il bene che ti voglio non è una cosa da dire.

I padri hanno l’amore del pane.

Linda Dutto

Glossario che cura.

REGOLA:      norma di comportamento dettata perlopiù  dalla consuetudine, dall’esperienza; misura, moderazione.

E’  prima di tutto, la ricerca di un ordine, di un ritmo, di una sequenza logica che conduce ad un certo risultato. Il benessere interiore si fonda sull’armonia di  forze interne, la regola esteriore facilita il processo di “accordatura”.

Breve presentazione dell’autrice.                                                                                            

Svolgo la professione dell’Assistente sociale da 25 anni, quasi tutti in un servizio per le tossicodipendenze. Alla mia formazione tecnica (Laurea triennale, Corso di formazione per operatori dell’affido familiare organizzato dal Centro Ausiliario per i problemi minorili di  Milano nel 1997, formazione specifica sul tema del maltrattamento e abuso, ecc…) si affianca un profondo interesse per l’utilizzo della narrazione come strumento professionale e terapeutico, nonché diverse esperienze nel campo del volontariato e nell’accoglienza di ragazzi in difficoltà.

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