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11 Marzo, 2021

Referente per l’adozione. La cultura dell’adozione insegna

Il rispetto e la valorizzazione delle peculiarità di ciascuno alla base dell'impegno come referente adozione
Simona Lai
Mamma biologica, insegnante di scuola dell’infanzia

L’adozione e il percorso di crescita di un’insegnate

Sono una docente della Scuola dell’Infanzia, oramai, da più di diciotto anni.

Da sempre, nel mio approccio con i bambini che hanno vissuti speciali apparentemente invisibili e profondamente celati dentro di sé, percepisco un forte legame, un invisibile filo empatico che ci unisce.

Non vi è modo di descrivere questa implicita relazione  semplicemente con le parole, esse non esemplificano a pieno il terremoto emotivo che smuove internamente tutti quei bambini che, proprio con le parole, non potrebbero mai raccontarsi, descrivere, esternare, perché ancora piccoli.

Mi sono sempre chiesta se questa mia particolare sensibilità rientrasse nella normalità, o fosse sintomo di qualcosa di preoccupante, finché un giorno una mezza risposta arrivò.

In una fase particolare della mia vita ho avuto bisogno di indagare su me stessa scoprendo così, che proprio normale-normale non fossi: dislessica-disortografica-difficoltà nel calcolo matematico … e parallelamente ho incontrato “il mondo dell’adozione”.

Improvvisamente all’età di 47 anni tutto mi apparve finalmente chiaro.

E’ grande il carico emotivo che si percepisce quando nessuno di quelli che ti stanno intorno afferma e conferma che tu sei diverso per un preciso “perché”: perché diversa la tua storia, è diverso il prima e il dopo, è diverso il tuo modo di stare nel mondo e di vederlo con altri occhi, è diverso il tuo modo di portare fuori tutto quello che hai dentro e non di certo con l’ausilio delle parole.

Semplicemente: è diverso, differente. Tutti dovrebbero farsene una ragione!

Riconoscere e accettare la differenza negli alunni e in se stessi

Così mi sono riflessa in tante storie di adozione, quando in determinati contesti scolastici non viene attribuita una legittimità allo status di quel bambino e quella famiglia, sminuendo e accomunando una storia differente ad un qualsiasi percorso lineare, regolare, quasi “scontato” di un qualsiasi bambino del mondo.

Ma la realtà è questa: ci sono bambini, famiglie, persone che vivono storie differenti e di questo bisogna prenderne atto.  Bisognerebbe costruire una sorta di “Legalità” della diversità ed evitare che sia omologata alla “comune” normalità.

Ho scoperto grazie al mondo dell’adozione che è fondamentale dare un nome a ciò che si è.

Se si allinea una particolare esperienza di vita ad una più comune, non si fa altro che provare a cancellare uno status che realmente è presente e con prepotenza vuole venir fuori, vuole dichiararsi.

Con grande ironia però devo anche confessare che dall’altra parte della barricata c’ero proprio io.

La mia prima esperienza con un alunno adottato nella Scuola dell’Infanzia non è stata sicuramente quella di vedere il bambino con un suo specifico percorso alle spalle, ma quello di considerarlo come un tenero e vivace fanciullo, privilegiato per essere stato adottato e niente di più.

Quando mi chiedono di parlare della mia esperienza come referente per gli alunni adottati per la scuola dell’Infanzia, metto sempre in evidenza gli errori commessi, prima che la cultura dell’adozione sortisse effetto sulla mia figura professionale.

Incredibile constatare quanto ora, la prospettiva sia mutata.

Forse può sembrare banale, ma con pochi e semplici accorgimenti si può veramente fare tanto per dare il giusto valore educativo a chiunque ha bisogno. Bisognerebbe sempre avere la capacità di leggere frasi mai pronunciate, ma profondamente impresse nel codice di vita dei bambini.

Tutto ebbe inizio quando, invitata da uno dei genitori adottivi di un mio alunno che poi divenne una carissima amica, partecipai a degli incontri formativi che trattavano il tema dell’adozione e scuola. In quell’occasione ebbi modo di riflettere sulla relazione educativa intrapresa precedentemente con un alunno adottato presente nella mia classe.

Fu aperta una finestra verso un mondo parallelo e allora realizzai veramente quanto fosse importante divulgare questa nuova chiave di lettura.

Diventare referente per l’adozione per una nuova lettura dell’infanzia

Colsi l’occasione della pubblicazione delle Linee Guida ministeriali ed affrontai il Dirigente Scolastico proponendomi come Docente Referente per l’adozione. Fortunatamente anche la mia DS, sempre predisposta ad accogliere le proposte dei propri docenti, mi diede l’incarico.

Da quel momento iniziò un percorso dedicato a ideare, progettare e strutturare azioni efficaci che potessero contribuire a generare benessere tra le famiglie adottive, i bambini e i docenti.

Fra le esperienze più rappresentative vi è quella relativa alla scorsa edizione del concorso “L’adozione tra i banchi di scuola”.

Ricordo ancora oggi la grande soddisfazione nel veder confermati i propri principi e ideali, in quanto la vincita per la nostra Scuola non significava solo aver ricevuto un merito ed un eventuale premio, ma rappresentava l’apice di una esperienza intimamente formativa che andava al di là del semplice impegno professionale, per la quale tante persone (adulti e bambini) sono state coinvolte dando ognuna il proprio contributo.

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