
Agnese ha 27 anni quando viene al Tribunale per i Minorenni con la richiesta di conoscere i propri genitori di nascita e la propria storia di bambina. Era stata collocata in adozione quando aveva tre anni assieme a un fratellino di cinque presso una coppia di persone che conducevano una vita semplice e buona, ottimi lavoratori, capaci di affetti profondi. I bambini erano intelligenti, crescevano bene, con un buon profitto scolastico e avevano tanti amici nel paese.
Genitori accoglienti e presenti
I genitori, da autentici “montanari” quali erano, si mostravano sobri nelle loro manifestazioni di tenerezza. Dalle loro parti allora si diceva che i bambini non si dovevano“viziare”. La figlia era un tipo allegro, vivace, curiosa. Il ragazzino invece aveva un carattere più riflessivo e responsabile.
Dopo qualche anno dall’inizio delle scuole superiori, Agnese decise, non senza procurare un dispiacere ai genitori, di interrompere gli studi e di cercarsi un lavoro.
Fu assunta in una fabbrica del luogo e, con il suo stipendio, concorreva alle spese di famiglia. Era apprezzata per la sua capacità e serietà professionale.
Era nel fiore dell’adolescenza. Mordeva il freno. Chiedeva spazi e tempi di libertà sempre più ampi.
I genitori, sul punto, non erano di manica larga. Le ponevano limiti ragionevoli e adeguati ed esigevano che li rispettasse..
Dopo un paio d’anni, segnati da discussioni e da richiami, Agnese decise di andarsene da casa.
Cambiò paese e abitazione. Trovò lavoro come cameriera in un bar molto frequentato da giovani.
Nell’adempimento dei suoi doveri era irreprensibile.
Un ragazzo che frequentava il locale cominciò a farle la corte. Era la prima volta che le capitava. Dopo alcuni mesi si trovò incinta e dentro un giro di consumo e di spaccio di droga della zona. Fu arrestata, processata e condannata a un anno e mezzo di carcere.
Il T.M., a seguito della vicenda, ne limitò la responsabilità genitoriale affidando il suo bambino ai genitori adottivi, che se ne occuparono con tenerezza maggiore di quella che erano stati in grado di manifestare con lei.
Non rimproverarono Agnese, continuarono a volerle bene e a dimostrarle stima. Non si vergognarono mai di lei. Le portavano ai colloqui il suo piccolo e, in un luogo protetto, mamma e bambino giocavano assieme.
La ragazza parla oggi, al Tribunale per i Minorenni, di questo periodo di detenzione come della “grazia” più grande che mai le sia capitata. Impiegò questo tempo lavorando sodo e, con l’aiuto di una assistente sociale di grande sensibilità e professionalità, cominciò a pensare alla propria vita, a ritrovare le parti migliori di sé e a recuperare nel suo intimo l’amore profondo verso i suoi genitori adottivi.
Scontata la pena, si cercò un nuovo lavoro come operaia. Ai tempi non era così difficile.
Da anni aveva rotto ogni rapporto con il padre del suo bambino che, fra l’altro, non lo aveva mai riconosciuto.
Al tribunale dice che col tempo spera di rifarsi una buona famiglia.
La ricerca della famiglia biologica
In questo periodo di profonde trasformazioni ritiene che la conoscenza del suo passato “delle origini” la possa aiutare.
I suoi genitori la incoraggiano a percorrere questo cammino.
Il suo fascicolo è voluminoso e racconta la storia squallida, fatta di umiliazione e di vergogna di una donna affetta da un importante deficit cognitivo, analfabeta, che si era unita ad un uomo sposato che l’aveva messa incinta due volte senza assumersi alcuna responsabilità e che lei non aveva mai voluto lasciare, accettando ogni mortificazione. Nessuno mai l’aveva aiutata o semplicemente presa in considerazione.
A seguito della sua audizione, il T.M. autorizza Agnese a prendere visione del fascicolo, ritenendola capace e sufficientemente matura da non rimanerne sconvolta. La invita però a farsi accompagnare nella lettura dei documenti dal giudice onorario, che può aiutarla a elaborarne la drammaticità.
Arriva all’appuntamento in tribunale con i suoi genitori adottivi. Prima viene ricevuta da sola e dal giudice onorario vengono letti e commentati gli atti contenuti nel suo fascicolo.
Il pianto silenzioso di Agnese accompagna questo momento. Non mostra rabbia o disprezzo per la mamma dalla vita umiliata e infelice di cui viene a conoscenza. Mostra invece nei suoi confronti un sentimento di pietà filiale.
La vicinanza tra genitori e figlia
Poi, i genitori adottivi vengono invitati nella stanza e lei li informa di ciò che ha conosciuto. Comprendono il suo dolore, si commuovono e dicono: “Noi, dottore, siamo orgogliosi di questa figlia”.
Qualche giorno dopo, un altro collegio di giudici del T.M. emette un provvedimento nei confronti di Agnese: valutato il buon esito e la serietà della sua nuova vita, le viene restituita in pienezza la responsabilità genitoriale del suo bambino.
La decisione trova l’assenso convinto dei suoi genitori.
Augusto Bonato
Psicologo, psicoterapeuta, già giudice onorario al Tribunale dei Minori di Milano
Leggi altri articoli del Dottor Augusto Bonato
0 commenti