
Spiegare l’adozione: il linguaggio dell’adozione è un tema caro alle famiglie adottive. A volte le domande nascondono curiosità, altre volte ignoranza. I nostri ragazzi ci osservano. Il compito dei genitori è di rispondere in modo equilibrato alle domande a volte imbarazzanti.
Mia figlia è diversa da me
Sono su un bus all’Isola del Giglio diretto al porto, piena estate, fa molto caldo, dentro siamo moltissimi, siamo appiccicati l’uno all’altro: era l’ultima corsa possibile per non perdere la coincidenza con l’ultimo traghetto, ci sono dovuta salire per forza.
Ad ogni fermata salgono altre persone e dove prima ce n’erano tre adesso sono in sei. Con mia figlia ed una sua amica, abbiamo trascorso due giorni su quest’isola bellissima, ospiti di amici e dopo due giorni di nuotate, chiacchierate, risate, relax adesso torniamo sulla terraferma, la nostra vacanza continuerà a Campiglia Marittima, in Maremma, dove da anni trascorriamo le nostre vacanze; ma per salire sul traghetto dobbiamo prendere questo bus che scende per una stradina tra le vigne, i sassi assolati, i cespugli di macchia mediterranea profumati, dalla collina al porto.
Insieme a noi è salito un gruppo che ha l’aria di essere di un centro estivo parrocchiale: ci sono tantissimi bambini stanchi e arrossati dal sole, ragazzi adolescenti che li coccolano, adulti e un paio di suore, visibilmente stressati con zaini pieni d’acqua e merendine che cercano, contano, chiamano.
Vicino a me una di queste persone sta contando e ricontando i bambini, ogni tanto mi guarda, guarda mia figlia e guarda l’amica, mentre continua a contare. Il conto non torna neanche questa volta: ci credo, appiccicati come siamo qualcuno sarà sepolto tra le gambe e le borse della gente! È una tipa un po’ logorroica, mentre fa il suo censimento mi sorride, ha voglia di parlare anche con me. Mi racconta che è l’educatrice di un campo scuola di una parrocchia di Porto S. Stefano (…bingo!!) che ha accompagnato i bambini in gita sull’Isola, è stanchissima, e mi chiede cosa faccio e con chi sono.
Le racconto della nostra vacanza, di mia figlia, dell’amica che ha invitato con noi. Non avrei molta voglia di parlare e ascoltarla, sono troppo attratta dal panorama che è bellissimo, vorrei gustarmelo in silenzio: si vedono dei piccoli golfi, il sole si sta abbassando sul mare, i colori cambiano, è l’ora del tramonto, ma la mia vicina di autobus non si rassegna e continua con le domande. Vicino a me le due ragazze, che hanno diciassette anni, chiacchierano e ridacchiano complici, chissà di cosa… – Sua figlia è quella, vero? – Dice con sicurezza indicando l’amica di mia figlia – No – le rispondo con un sorriso – è l’altra! – indicandole mia figlia. Uno sguardo meravigliato appare su quella faccia e con il viso rosso per l’imbarazzo si lancia in una serie di aneddoti su figli e genitori adottivi che conosce, sulla bellezza delle persone di origine indiana, su come siamo stati bravi io e mio marito ad adottare e su quanto è stata fortunata mia figlia, e mi fa l’elenco di tutti i vicini di casa, i cugini degli amici, i conoscenti ecc., che hanno adottato un figlio.
Adozione internazionale, tratti somatici diversi e curiosità delle persone
Sorrido e mi dico: “Ci risiamo!” molte volte mi è capitato tutto questo, la mia famiglia attrae l’attenzione degli altri, è inevitabile. I miei figli sono nati in India e adottati tanti anni fa da me e mio marito, i nostri tratti somatici e colori di pelle sono decisamente diversi.
Nonostante sia una situazione familiare ormai frequente e ben individuabile, la nostra diversità fisica viene spesso evidenziata, è oggetto di molte curiosità, e purtroppo non sempre le domande o le affermazioni sono pertinenti o rispettose della nostra privacy, della nostra storia e del diritto a parlarne come e con chi ci pare. Adesso, mi dico, siamo semplicemente una mamma e una figlia insieme in vacanza… o no? Spero che mia figlia non abbia sentito, non ho paura che si turbi, è consapevole della sua storia e allenata a parlarne, ho timore che si stanchi della curiosità delle persone, ma lei sul momento non dice nulla. Dopo una settimana, a casa, all’improvviso mi chiede – Mamma ma hai sentito quando eravamo al Giglio quella signora sull’autobus che ti ha chiesto se la mia amica è tua figlia? – aveva sentito tutto – ci siamo guardate e abbiamo riso insieme, ormai ci siamo abituate, dopo diversi momenti di imbarazzo e arrabbiature, abbiamo imparato ad affrontare serenamente l’argomento, ironizzando.
Spiegare l’adozione per costruire cultura
Ogni volta che capita dopo un iniziale momento di smarrimento mi rendo conto che l’adozione deve essere sempre spiegata: bisogna essere consapevoli di questo, mi dico, e cercare le parole migliori per far comprendere la cosa. Il mistero dei legami fra genitori e figli che nascono, fioriscono, in modo inconsueto e inatteso, che collegano persone lontanissime tra loro, anche fisicamente, in un vincolo perenne genera stati d’animo contrastanti nelle persone: ammirazione e timore, gioia e paure, pregiudizi positivi e negativi, io lo farei e io non lo farei mai… e qualcuno proprio non riesce a non esternare a voce alta il suo pensiero, anche se (soprattutto se) non ci conosciamo.
Ma se rifletto bene anche a me, dopo tanti anni, emoziona e stupisce ancora pensare a come sono arrivata a stringere in braccio i miei figli, al cammino fatto con mio marito. Pensare il tipo di viaggio che un figlio e un genitore adottivo fanno per incontrarsi è stupefacente, si viaggia nel tempo, nello spazio, si viaggia attraverso il dolore e la gioia, per mani diverse, senza nulla di certo, attraverso quintali di documenti e uno sguardo che piano piano cambia, ad un certo punto ci si incontra con nostro figlio o nostra figlia, in un istituto in un Paese dal nome complicato, o in un ospedale di una città lontana dalla nostra, che improvvisamente diventano un pezzo indimenticabile della nostra storia, il nostro reparto-ostetricia, la nostra “nursery” testimone del nostro emozionante parto. E si diventa famiglia, quasi per magia, forse per caso, sicuramente per destino, ci si ritrova insieme, increduli e felici, finalmente!
Come rispondere alle curiosità sull’adozione
Il mio percorso di genitore mi ha fatto cambiare molto, in alcune cose sono più paziente e comprensiva, in altre più determinata e rigorosa. Una cosa della quale dopo tanti anni sono sempre estremamente convinta è che i nostri figli ci osservano con attenzione speciale quando parliamo delle loro storie personali con persone più o meno sconosciute, il modo in cui comunichiamo in questi casi rivela loro come le stiamo vivendo queste storie, quanta ansia ci crea il confronto col mondo esterno al contesto familiare o amicale: è importante imparare a reagire e rispondere in modo adeguato. Ma qual è il modo più adeguato?
Non ho ricette da dare, io se non voglio rispondere perché la domanda mi sembra troppo personale sorrido e dico “Perché vuole saperlo?” di solito funziona. Altrimenti cerco di essere cortesemente sintetica, di arginare il mare di parole che ho dentro e preme per uscire (l’argomento mi prende molto, istintivamente… tracimerei, specie se mi trovo di fronte a tenaci e irriducibili intervistatori/curiosi) e dire poche cose essenziali, pochi riferimenti alla vita privata dei miei figli, sottolineando sempre che siamo solo genitori e figli in cammino insieme, con le nostre difficoltà e i nostri momenti belli e sereni.
Rispondere con rabbia non serve, non aiuta le persone a fare e farsi le domande giuste, quello di cui abbiamo tutti bisogno è far comprendere cosa significa adottare ed essere stati adottati e noi siamo un ottimo veicolo, specie in questi momenti. Spesso in casa nostra condividiamo con mio marito ed i miei figli questi momenti, ironizzando, dicendoci anche quello che ci ha fatto male sentire: nel nostro legame la parola adozione rappresenta solo una parte, quello che abbiamo costruito e che viviamo giornalmente insieme è molto più grande.
Cristina Bacci
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