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06 Luglio, 2021

Storia di un conflitto a scuola: “I tre bottoni blu”

La gestione dei conflitti è cosa quotidiana. In famiglia e a scuola. Accorgersi delle proprie emozioni e riconoscerle aiuta i genitori a pensare risposte nuove, utili per accompagnare i nostri figli.
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Cosa fare una volta a conoscenza di un piccolo conflitto a scuola? Attraverso la condivisione di un’esperienza di vita quotidiana, una mamma ci illustra come aiutare i propri figli a gestire emozioni e conflitti.

Il conflitto a scuola: indagare o glissare?

“Anna, ma ti mancano 3 bottoni! Sono in tasca? Ehi si è fatto addirittura un buco!? “

Mia figlia Anna allarga le braccia lasciando vedere come si apre bene il grembiule sbrecciato ed impolverato. Continuo sorpresa: “E la tasca è strappata!”. Un sospiro.

Così l’altro giorno,  un venerdì  freddo  al rientro da scuola. Ed io che speranzosa, pensavo di concludere una settimana di lavoro reciproco con qualche giorno festivo per rallentare il nostro ritmo, invece si preannuncia un week-end “investigativo”.

Chiudo il portone, dentro casa la testolina di Anna col suo buffo berrettino con le orecchie da orsetto bianco si abbassa cercando una risposta mentre guarda quello che anch’io ho appena scoperto: un grembiule con qualche segno di battaglia.

Quando accadono questi episodi possiamo andare in men che non si dica ai due estremi: attacco o fuga, tuttavia entrambe conducono ad una soluzione apparente.

Mi spiego meglio, o inizi a fare domande a tuo figlio in assetto da attacco  tipo: “Come? Quando? Cosa…?” e soprattutto: “CHIII??”. Oppure andando  al lato opposto, cercando vie di  fuga  magari sminuendo: “Le solite cose da bambini, ma sì, succede, vero?!” per concludere con: “Non è nulla, mamma compra subito dei bottoni e cuce,  tutto a posto!?”.

Reazioni di attacco o di fuga sono annoverabili spesso tra le nostre tante riposte, ma questa volta no. Mi dò qualche istante, conto fino a sei, ascolto un moto interiore, mentre lo stomaco ha un fremito irritato  e mi domando se c’è un’alternativa. “Fermati un po’”-dico tra me e me- frenando una risposta che affiora alle labbra, solo quei pochi secondi che ti separano dal giudicare un fatto a cui, oltretutto,  non hai assistito e se anche non è la prima volta che succede -anche l’anno passato e tra l’altro sempre tre bottoni?!-, datti il tempo e aspetta. In fondo tutto può essere. E così cucinando il pranzo, mentre Anna gironzola indaffarata tutta  intenta a prepararsi il posto a tavola per gustarsi un buon pesciolino, le chiedo con il tono più neutro che mi riesca in quel momento: “Anna mi racconti la storia dei tre bottoni blu?”.

Le ferite dello scherno e esclusione

Gli occhi, la loro espressione, il sopracciglio e l’inclinazione delle labbra, quanto ci dicono su ciò che i nostri figli stanno provando e sui sentimenti a patto che li sappiamo scorgere, tanto più ora vale per Anna.

E così lasciando che davanti a me passino le espressioni mutevoli degli occhi di Anna, la vedo farsi un po’ più scura – e non solo perché la sua carnagione è intensa come il color del cioccolato – il sopracciglio si solleva una volta e poi ancora, le labbra chiudono una boccuccia già tanto piccola, la testa si china un po’ a lato in una posa a metà tra l’interrogativo e la stanchezza, senza far parola. Sicuramente più che risposte ha dentro di sé tante domande!

Se mi fossi accontentata di partire dai miei pensieri magari avviluppati da emozioni sgradevoli o memorie di altri piccoli fatterelli accaduti in classe o in intervallo, come possono essere quelle che accompagnano situazioni di scherno ed esclusione, avrei perso questa occasione . Comincio a comprendere e certo, il primo istinto materno mi urla di abbracciarla, di chiuderla in una stretta protettiva e farmi nido per nasconderla un po’ alla pochezza di comportamenti che feriscono la sua persona. Vorrei poter soffiare su quella amara tristezza come se fosse un’abrasione che si può alleviare con il soffio fresco della mamma, ma non può funzionare in questi casi. Ahimè.

Raccontami che cosa è successo a scuola

E invece la siedo sulle mie gambe e mi faccio vicina col viso perché guardi bene il mio sorriso che la invita a raccontare.

Chi di noi può vantare esperienze di piena inclusione ed accoglienza specialmente nella fase della scuola d’infanzia o primaria? E’ la fase in cui i bambini imparano la convivenza in una comunità tutta nuova. Per quanto mi riguarda ricordo il sentimento che mi accompagnò il primo giorno di scuola, quando scoprii  che la mia compagna di giochi non sarebbe stata né in banco con me e neanche nella mia classe. Non piansi ma rimasi imbronciata per molti giorni “sentendomi tradita” dalla maestra, rea di averci divise. Del resto è la fase di primo ingresso in un nuovo ambiente dove per un lungo tempo si resta fuori casa, in luoghi adatti in prevalenza  allo studio e spesso con ritmi strutturati, poco favorevoli  ad una relazione che vada oltre la conoscenza reciproca.

Eppure è ben per questo che inviamo fiduciosi i nostri figli a scuola, affinché imparino a mettere in azione quanto abbiamo loro fatto vedere con l’esempio del nostro stile di vita e a loro volta accolgano altre amicizie e quanto di nuovo viene loro insegnato. In questo scambio tuttavia si inserisce l’alchimia delle relazioni: tra i pari, tra bambini di età diverse, tra loro e gli insegnanti e quanti a vario titolo li accompagnano nelle ore di studio e nei momenti di svago.

E non tutti i giorni sono uguali, specialmente quelli in cui si leva una sentenza che Anna pronuncia con tono insindacabile: “Mamma non mandarmi più in quella scuola”. Risento una frase che avevo archiviato alla fine della seconda elementare e che ora torna severa sulle labbra tremanti di Anna.  E subito mi racconta i fatti così come si sono succeduti con un tono ancora incredulo per non essersi accorta di quanto stava accadendo, è indubbio che l’ardore del racconto si incendia allorquando, nominando le due compagne coinvolte, sente ancora viva la sensazione di essere stata raggirata “non sapevo che intanto mi stavano legando…”

Trovare risposte nuove all’aggressione

Questa volta chi rimane senza parola sono io. Capirete la mia immediata frustrazione! Ma sono sotto la lente d’ingrandimento di Anna che sicuramente legge quello che sto avvertendo.

Facciamo uno step back. L’aver allenato mia figlia ad accorgersi delle proprie emozioni, a parlare di conseguenze e di alternative, ci porta d’impatto a parlare non solo del fatto avvenuto, ma a scovare risposte nuove, e a riflettere sul come metterle in azione.

La nostra paura sta diventando coraggio!

“Anna –dico- domani torni a scuola, vorresti dire o fare qualcosa con … i tuoi compagni, con la maestra?”

Nasce l’idea di scrivere. Evviva esulto per la scelta di Anna, un sentiero imboccato con piglio deciso; parte verso la sua scrivania rosa, per tornare dopo 10 minuti con un foglietto scritto in stampatello verde: il biglietto!

Il coraggio nasce dalla fiducia.

Anna ha potuto scegliere di usare le sue risorse!

Il coraggio di esprimere i sentimenti aiuta l’autostima e la gestione del conflitto

Immaginate il giorno dopo a che livello poteva essere il mio bisogno di sapere cosa era accaduto. Alla vista del pulmino giallo, un balzo al cuore, mi preparo col più accogliente dei sorrisi tutta in attesa fiduciosa.

“Non mi ha detto niente ma io l’ho dato e lei l’ha preso! Le ho dato il biglietto e le ho detto che deve farlo vedere anche alla sua mamma come ho fatto io col grembiule …”.

Dopo qualche giorno le chiedo: “A proposito di grembiule, come funzionano i nuovi bottoni? ” risponde “Papà stamattina mi ha aiutato perché sono un po’ duri”. Rispondo: “Come duri?!  Fammi vedere un po’. Ah non vanno bene ho sbagliato misura, vedi ad andare in merceria senza grembiule, dobbiamo andare a cambiarli”. Tutta compresa mi dice: “Povera mamma devi riprendere la macchina, volevi stare tranquilla! Però grazie che me li cambi”.

L’indomani sondo lo stato d’animo “Allora funzionano questi bottoni ?” “Sì mamma il grembiule adesso è aggiustato, ho detto alla mia compagna che la sua mamma me li deve prendere proprio come questi che mi hai preso tu”. Vedi un po’ come  si fa strada il coraggio!

Ma dopo un mese circa arriva il culmine della vicenda. Siamo alla conclusione dell’incontro di classe con due tra le insegnanti allorquando me ne esco con una riflessione che scatena il finimondo tra le astanti sull’argomento gioco –non continuo questa traccia poiché la riunione stessa meriterebbe un racconto a sé… Esco appunto dall’aula e mentre mi si accostano due mamme, mi dirigo verso mia figlia che stava attendendo con altri compagni.

Anna mi vede,  si alza, avanza con tre balzi, seguita dalla sua compagna –per capirci quella dei bottoni– e si impone davanti a noi tre. Fiera di sé e della sua statura di figlia amata riferisce, con sguardo diretto e fisso sulla mamma della sua compagna, fatti e stati d’animo con scrupolosa cronologia in tale sorprendente successione e fedeltà col suo primo racconto che mi ritrovo sorpresa e persino, non dovrei dirlo, divertita dal tono della voce di Anna e da come la situazione si sia capovolta. La bambina che si era presa su di lei un ipotetico vantaggio con una bravata  sconsiderata la osserva senza poter avanzare alcuna vocale.

Anna dando voce al suo cuore ha dato prova di coraggio, che è cresciuto debole e fragile, via via allenato dalla consapevolezza ed accoglienza di pensieri fitti e di sentimenti più intimi.

Anna  finalmente mi guarda serena. La guardo intensamente anch’io e sorridiamo. Il coraggio nasce dalla fiducia.

Grazie Anna di tutto il tuo coraggio!

Mamma Maria Antonietta


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