
Essere genitori è un concetto legato all’amore o alla biologia? Adottare e concepire sono percepiti due percorsi per diventare genitori con egual valore, dalle persone e anche dalla Stampa? La risposta purtroppo è che adozione, amore e biologia sono percepiti ancora come in conflitto tra loro per la maggior parte delle persone. Ed è così anche in tema di Giustizia, perché la Corte di Cassazione (con sentenza n. 9427 del 1° marzo 2018, sez. I penale) ha escluso l’aggravante del legame di discendenza, qualora un genitore uccida il figlio adottivo. Questo spiega, male e solo in parte, perché nei titoli di giornale, ancora oggi, ci si ritrovi a leggere “uccide il figlio adottivo”, quando invece non sarebbe assolutamente necessario specificarlo.
La legge
Essere genitori è vincolato ai soli sentimenti ed alle emozioni o alla mera animalesca fisicità? Per i più importanti interpreti della legge, coloro che “creano” la giurisprudenza, evidentemente valgono solamente aspetti puramente materiali e di sangue. Non importa a questi Giudici la differenza tra crescere un figlio e fare un figlio, la differenza tra amare un figlio e procreare. Se non fosse che sono state abolite da vari decenni, c’è da immaginarseli con le parrucche bianche sopra la toga che disquisiscono di cavilli e commi nascosti invece che servire il Paese e rendere giuste leggi che evidentemente giuste non sono. Insomma, grida vendetta per le migliaia di genitori non biologici, di qualsiasi natura e forma giuridica essi siano, la recente sentenza della Corte di Cassazione che ha escluso l’aggravante del legame di discendenza qualora un genitore uccida il figlio adottivo. Non ci dobbiamo stupire se nei titoli di giornale, ancora oggi, ci si ritrovi a leggere “uccide il figlio adottivo”, oppure, al contrario, “figlio adottivo picchia i genitori”.
Come possiamo pensare che l’opinione pubblica ed in generale la collettività consideri assolutamente alla pari figli biologici e figli adottivi se nemmeno l’eccellenza della giurisprudenza italiana è in grado di farlo, pronunciandosi con sentenze degne del medioevo? Come si può pensare che insegnanti, medici, operatori pubblici, la smettano di evidenziare questa differenza se nemmeno il vertice della magistratura italiana è in condizioni di percepirlo? Adottare e concepire sono ancora avvertiti come percorsi per diventare genitori con valori diversi, ovviamente con un disvalore del primo rispetto al secondo, quasi che crescere ed amare un figlio sia legittimo e degno se sei il genitore biologico, ma che lo sia molto meno se sei quello adottivo. Peccato che se la biologia fosse portatrice di genitorialità di “serie A”, l’adozione non avrebbe motivo di esistere.
La verità è che forse, al contrario, in maniera esattamente opposta a ciò che crede la maggior parte della gente, ed evidentemente i soloni della giurisprudenza, l’adozione non è per tutti, ma dirlo a chiare lettere porta ancora con sé quel pudore bigotto che vuole dipingere il concepimento come il picco più alto dell’espressione dell’essere umano.
La percezione di una società prevenuta che si riflette sulla stampa
Avete mai riflettuto con attenzione sulla maggior parte delle frasi che si sentono pronunciare da chi parla di adozione, ma che chiaramente o velatamente lo ritiene un percorso “di serie B”, una “seconda scelta” per diventare genitori? “Ci vuole molto coraggio”, “io non riuscirei, avrei paura di non amarlo allo stesso modo”, “una cosa meravigliosa, ma io ho bisogno di sapere che sia ‘mio mio’”, dove il concetto di figliazione aderisce inconsciamente a quello di proprietà, di propria capacità di rispondere alle aspettative della società circa la “forza genetica”. La risposta è invece molto semplice: l’adozione è solo per coppie con una maturità relazionale solida e consolidata, che non abbiano paura di mettere in gioco i propri equilibri ed i propri sentimenti, individui con il baricentro fermo e sereni con sé stessi.
Per adottare bisogna essere maturi al punto da non considerare un figlio una prosecuzione naturale di noi stessi, un prolasso affettivo, uno specchio nel quale proiettare aspettative disattese, occasioni mancate, o nel quale vedere sé stessi risorgere giovani, con qualche connotato del nostro partner di cui siamo (in alcuni casi) innamorati. Si è genitori a prescindere dal come lo si diventa. Un figlio è un figlio, e l’amore nasce dal rapporto che si instaura e matura, dal desiderio di crescere insieme, di rappresentare per un figlio un punto di riferimento, radici solide; per un genitore una sfida, uno stimolo, energia pura, vita, per poi vederlo spiegare le ali e volare nella sua vita di adulto, consapevole di aver fatto un buon lavoro. Fin quando la società non imparerà che la genitorialità non ha nulla a che fare con la biologia, avremo famiglie in difficoltà, figli infelici e genitori frustrati. Essere genitore significa amare oltre sé stessi.
Purtroppo questo concetto non è sempre chiaro, si ferma alla pancia, ai babyshower e al desiderio spinto all’estremo di chi, probabilmente, sente quel desiderio come indispensabile per essere felice, come unica via per la realizzazione personale, quando solitamente invece significa che è necessario per colmare un vuoto. Quando la stampa tratta determinati argomenti, probabilmente senza nemmeno pensarci, con preconcetti e immagini errate rispetto alla dimensione della genitorialità e dell’adozione, ecco che la parola “figlio adottivo” arriva in prima pagina come una lapide, a seppellire l’essenza dell’essere genitori a prescindere dalla strada che si percorre per diventarlo, a ricordare a tutte le famiglie che quel figlio è diverso, che quella famiglia è diversa, non allo stesso livello di quella biologica. Purtroppo manca una formazione specifica, nel giornalismo, rispetto alla genitorialità in generale e all’adozione.
Ora sappiamo che questo problema ha radici molto più profonde, se anche l’élite della giurisprudenza non è in grado di capire tale differenza. I figli nascono tutti dal cuore, qualcuno anche dalla pancia. C’è ancora molto lavoro da fare. Forza, cari genitori, di qualsiasi forma voi siate. Forza e coraggio.
Valentina Rigano,
giornalista, autrice e orgogliosa mamma di cuore
Quanto è importante il ruolo dei media nel rappresentare l’adozione? Che immagine ne viene data? Avevamo affrontato questa tematica nell’ambito della ricerca IconA
Pienamente d’accordo con lei Valentina. Essere genitore è una missione e non centra nulla con il dediderio di sfoggiare un bambolotto tanto per essere in pace agli occhi della società. Compito di un genitore è quello di donare, sempre! Educare, accompagnare, insegnare ai propri figli a spiccare il volo ed essere sempre fieri dei loro successi/insuccessi. Qui non c’entra nulla la biologia. Un genitore è colui che ti culla, che ti prende per mano se cadi, che cura le tue ferite, che ti veglia se stai male, che accoglie la tua rabbia e ti insegna a sorridere e vi assicuro che biologico o non, un figlio ė figlio e basta. Purtroppo però convengo sul fatto che il linguaggio giornalistico spesso pecca di poca sensibilità in materia. È come se “etichettando”, si rende meglio l’idea. Non è la prima volta però che anche in giurisprudenza si commettono errori. Ci sono state sentenze in cui si è palesemente affermato che ai genitori adottivi non era dato conoscere le condizioni di salute del figlio che gli è stato affidato, in quanto appunto adottivi.
Una mamma di cuore