
Jaya tre anni fa carica un video sulla sua esperienza di vita e la storia di un’adozione, la sua. Ascoltandola mi appassiono e la seguo negli anni, fino a che racconta del piccolo raggio di sole che cresce dentro di lei, Julian. Da questa notizia nasce l’idea di un dialogo, per confrontarci sull’essere donna, sull’essere stata adottata, sull’essere madre e figlia.
Concludiamo l’intervista a Jaya Mary Guazzo. Leggi QUI la prima parte.
VI. Se potessi parlare con ostetriche che affiancano madri decise a lasciare i loro bambini in ospedale dopo il parto, quali informazioni vorresti raccogliessero per i futuri figli andati in adozione?
Rispetto a questa domanda trovo qualche difficoltà, perché io personalmente sono stata lasciata in un orfanotrofio in India, che ho visitato nel 2013 e di cui racconto in uno dei miei video. Lì ho potuto conoscere sia il dottore sia l’ostetrica che mi hanno fatto nascere: non ero in cerca della mia storia, ma volevo esplorare i posti in cui ero nata e vissuta per i primi mesi della mia vita. Mia madre, ho saputo, ha avuto tre mesi per decidere definitivamente se lasciarmi alla cura dell’orfanotrofio o se tornare. Oltre a questo mi trovo impreparata, perché non sono mai stata interessata alla storia dei miei genitori biologici e quindi non mi sono mai chiesta quali informazioni avrei voluto ricevere da parte dell’ostetrica.
Ho avuto un periodo di transizione in cui non ero certa di non voler sapere, non ne capivo il perché e reagivo con rabbia alle domande sulle mie origini. Attraverso un processo di crescita e di accettazione delle mie origini ho capito che la mia madre biologica ha preso la miglior decisione per entrambe: lei, da ragazza madre in India, non avrebbe avuto un futuro sereno; io potevo essere lasciata anche per strada, e invece mia madre ha fatto una grandissima scelta d’amore e ha cercato un posto sicuro in cui partorire. Avendo questa certezza non sento il bisogno di sapere altro. La mia vita poi è ricominciata a sei mesi, quando ho incontrato i miei genitori e non ci siamo lasciati mai più: questo per me è il vero inizio della mia vita.
Tornando alla domanda, in generale, chiederei di raccogliere informazioni sulle malattie genetiche famigliari, perché è l’unica cosa che mi ha messo in difficoltà nove mesi fa con la gravidanza: mi hanno chiesto se avevo particolari malattie presenti in famiglia e io non ho saputo rispondere. Pensando invece alle madri biologiche, non mi permetterei mai di chiedere il perché della decisione di lasciare il proprio figlio: se una persona ha preso questa decisione avrà avuto le sue valide ragioni. Da madre capisco quanto questa decisione non possa essere facile, soprattutto dopo averlo fatto crescere per nove mesi, e scelgo di vederlo come un atto d’amore, fatto per il bene del bambino e della madre stessa. Insomma, il passato è passato, si è già varcata quella porta; ora, da adulta, scelgo di guardare al futuro. Il passato ti forgia, ti fa diventare ciò che sei, ma ora sta a te andare avanti e raggiungere i tuoi obiettivi.
VII. Che consigli daresti ad una maestra che accoglie un bambino con storia adottiva?
La parola più importante in questo contesto è sensibilità, caratteristica che ogni maestra dovrebbe avere con tutti i bambini. Ogni sistema scolastico necessita di personale sia molto competente, ma anche molto sensibile perché ogni genitore si senta sicuro di lasciare il proprio figlio, con le sue risorse ma anche con le sue fragilità, nelle loro mani ogni giorno. Tutto dipende anche molto dall’età in cui è stato adottato il bambino: se è stato adottato dopo diversi anni potrà avere un vissuto molto diverso rispetto a un bambino adottato a sei mesi come me. Lui avrà già un grande pezzo di storia, con ricordi belli o brutti, e la responsabilità della scuola sarà quella di accogliere con la massima delicatezza e apertura tutto ciò che il bambino porta con sé, senza farlo sentire diverso dagli altri, ma usando strumenti e metodi inclusivi per le storie di tutti i componenti della classe. Un ultimo consiglio è quello di conoscere e informarsi sul background di ogni bambino ad inizio anno, per poter essere accoglienti nel miglior modo possibile.
VIII. Quanto sono importanti i social media per poter divulgare l’adozione in una società ancora troppo disinformata?
Attraverso i social parlo molto delle tematiche legate all’adozione, con l’obiettivo e la speranza di aprire ulteriori prospettive, dubbi e curiosità nelle persone per poter divulgare una conoscenza nuova sul mondo adottivo in canali fruibili da chiunque. Molte persone adottate mi hanno contattato per ringraziarmi in occasione del video sulla mia adozione, proprio perché hanno potuto rivedersi e riconoscersi in una storia simile alla loro. Al contempo alcuni genitori hanno aperto le pratiche per adottare proprio dopo aver visto il video ed essersi resi conto di come non serva per forza la biologia per costruire legami saldi, positivi e duraturi tra genitori e figli.
La potente arma dello sharing permette la condivisione totale, aperta, sincera di quella che è la mia storia: scelgo di trattare argomenti spinosi o delicati, come adozione, bullismo, razzismo per il semplice fatto che è importante parlarne e per combattere la disinformazione di tutti coloro che non conoscono o non hanno avuto modo di approfondire argomenti del genere. Nonostante il mio trattare di tematiche anche più leggere sui social, la possibilità di postare alcuni video mirati all’approfondimento di questi temi fa si che anche persone completamente estranee al mondo adottivo si interfaccino con esso: questo è il segreto per usare al meglio canali che spesso vengono solo associati al tempo libero o ad argomenti più frivoli.
IX. Per concludere, un pensiero su quanto la tua storia ha influito su ciò che sei ora e su cosa vorresti dire alla Jaya bambina di tanti anni fa.
La mia storia ha influito molto, perché da piccola sono stata una persona piena di insicurezze, a causa di persone che mi hanno fatto sentire diversa.
Non è stato facile essere una delle prime persone adottate in un piccolo paese del Trentino: i bambini usavano parole con me che sentivano a casa e che mi ferivano. Gli episodi di razzismo e bullismo ti fanno chiudere a riccio, influiscono sulla tua personalità e a volte possono farti reagire in modo aggressivo. Spesso sono stata portata a chiudermi in me stessa, a piangere molto; altre volte invece ho reagito con rabbia verso l’ignoranza delle persone.
La mia storia mi ha portato ad essere molto ambiziosa, perché in qualche modo voglio sempre rendere orgogliosi i miei genitori, oltre che me stessa: tutti i figli vogliono farlo, ma nel mio caso, sapendo quanti sacrifici i miei genitori hanno fatto, sento proprio la necessità di riscattare la seconda vita che mi è stata data.
Alla Jaya bambina, così insicura, vorrei dirle di non cambiare, di continuare ad essere testarda perché arriverà dove vorrà. Le direi di non sentirsi diversa, perché allo specchio mi sono sempre vista a posto, ma a causa di altre persone sono stata ferita e le mie insicurezze sono cresciute.
Ho passato anni a vedermi troppo scura, troppo magra o troppo piccola. Vorrei tanto dirle che la diversità sarà poi la sua arma migliore. Nella crescita la mia autostima è aumentata proprio quando sono stata scelta per il colore della mia pelle, come modella. Ho usato a mio favore quella diversità che per anni la gente ha voluto che io sopprimessi.
Per concludere, vorrei dirle di continuare a sognare, perché solo credendoci fortemente i sogni poi alla fine si avverano.
Jaya Mary Guazzo intervistata da Laura Borello
0 commenti